Quanti frammenti di vite diverse possiamo conoscere ogni giorno mentre svolgiamo le nostre normali questioni quotidiane? Mentre lavoriamo, mentre andiamo al bar a berci un cappuccino? Piccoli scorci di intere esistenze che tocchiamo con mano pur continuando a ignorarne l’insieme, l’intero, per dirlo con espressioni matematiche. Vi è un intero, eppure noi ne sfioriamo solo una frazione. Un po’ come un quadro cubista in cui ogni figura è a sé stante ma unita al contesto da un fil rouge, noi, o in questo caso, Nina, la protagonista di Prendere o lasciare (NN Editore, pp. 220) di Lidya Millet. È un romanzo delicato attraversato da un’ironia che a volte diventa cupa, quasi sarcastica e al limite del paradossale, o del grottesco. È un romanzo corale che parla della difficoltà del vivere, degli imprevisti spesso dolorosi che ci sconquassano da capo a piedi, in positivo o in negativo; parla di come tutto, ogni evento, ogni persona sia direttamente o indirettamente collegata l’una all’altra, di come il passato non lascia scampo e di come il presente esige di essere vissuto in virtù di un futuro che potrebbe, anzi deve, cambiare pur mantenendo inalterati i contorni e la sostanza. Nostalgia, dolore e mal di vivere permeano queste pagine arrivando dritti al cuore del lettore. Le storie che l’autrice racconta sono le storie di tutti, vissute o meno sulla propria pelle, certo, ma nessuno è esente dalla depressione, da sprazzi di momentanea follia, da disastri familiari, da un passato ingombrante, da genitori assenti, dalla voglia, dopo un trauma, di ricominciare. La Millet parla di ognuno di noi, e chi più chi meno, ci si riconosce.
Sulla quarta di copertina si legge “[…] per chi tra le mura di casa si libera volteggiando a braccia aperte e attende la persona giusta che voglia unirsi alla danza.” Ecco, è proprio questo il punto. Non a caso Nina è un’agente immobiliare, non a caso l’autrice sceglie sempre un’abitazione come elemento narrativo principale per le ambientazioni. Perché la casa siamo noi, la nostra personale storia, il nostro modo di essere e quando apriamo la porta a qualcuno gli apriamo noi stessi, una parte essenziale di noi. E quando qualcuno se ne va… è lì che spranghiamo porte e finestre.
Bel libro, lettura semplice e coinvolgente ma non banale o superficiale. Belle le descrizioni delle case, che diventano inevitabilmente dei personaggi esse stesse, e molto piacevole la prosa della Millet, che dimostra di saperla usare in modo sapiente, strutturato e accattivante.
Cinzia Ceriani