Home » Il giardino dei cosacchi di Jan Brokken

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Recensione

Dostoevskij non è mai abbastanza, nemmeno nelle biografie romanzate (ma, come in questo caso, parecchio attinenti alla realtà). E il risultato che ne viene fuori, attraverso gli occhi del narratore, il nobile e amico Alxander Van Wrangel, è quello di un uomo fragile e provato dalla terribile esperienza di una sfiorata, e per fortuna evitata all’ultimo istante, esecuzione capitale, dai lavori forzati in Siberia e dal successivo esilio. Un uomo attento a tutto ciò che lo circonda e desideroso di poche cose: scrivere, pubblicare, sposarsi e tornare alla sua vita com’era prima di essere accusato di tradimento nei confronti dello zar. Fedor e Alexander sono due spiriti affini, il cui legame è nato sull’onda del fervore politico e intelletuale e si è rinsaldato dall’amore per due donne già sposate, Marija e Katja, e che diventeranno le loro mogli. Attivo, dinamico ma anche ponderato e posato Alexander, riflessivo, a tratti intraprendente e facile ai colpi di testa, soprattutto amorosi, Fedor. Fedor… dalla salute cagionevole e un animo ferito che non ha mai smesso di continuare a rivivere dentro di sé i tormenti del plotone d’esecuzione, della prigionia nei gulag e dell’allontanamento da Pietroburgo. Confidenti e affiatati, i due uomini diventano l’uno il salvagente dell’altro, la reciproca spalla su cui piangere e gioire, il rispettivo porto sicuro durante le tempeste. Una storia intensa e meravigliosa sull’amicizia (anche se a volte appare un po’ di comodo) più che su quella lunga parte di vita che il barone russo ha condiviso con il grande scrittore, da gustare pagina dopo pagina in un altalenarsi di emozioni e riflessioni. Vi si legge qui qualcosa di diverso di Dostoevskij. Il “grande autore Dostoevskij” cede il posto “all’uomo Dostoevskij”, con le sue zone d’ombra e di luce. Non è il mito letterario qui, non ancora, seppur già conosciuto e già all’opera su alcuni di quei testi che diventeranno poi dei classici, qui lui è semplicemente Fedor.

 

 

 

Trama

San Pietroburgo 1849, Fëdor Dostoevskij è davanti al plotone d’esecuzione, accusato di un complotto contro lo zar. Solo all’ultimo secondo viene risparmiato dalla morte e deportato in Siberia. Il ventenne Alexander von Wrangel, barone russo di origini baltiche, ricorda bene la scena quando qualche anno dopo è nominato procuratore della città kazaca dove Fëdor sta ancora scontando la pena, nella logorante attesa della grazia. Due spiriti affini, uniti dal fervore etico e intellettuale e innamorati perdutamente di due donne sposate: il giovane baltico della femme fatale Katja, e Dostoevskij della fragile ed eternamente infelice Marija. Confidenti, complici e compagni di sventura, Fëdor e Alexander si aggrappano uno all’altro come a un’ancora di salvezza nella desolazione siberiana, riuscendo a ritagliarsi un rifugio nel «Giardino dei cosacchi», vecchia dacia in mezzo alla steppa che diventa un’oasi di pensiero e poesia nella corruzione dell’Impero. In un appassionante romanzo «russo» basato su documenti, memorie e lettere giunte fino a noi, Brokken racconta un’amicizia che si intreccia alla storia politica e letteraria di un paese e attraverso la voce del barone Von Wrangel ricompone un ritratto intimo del grande autore ottocentesco. Un uomo «esiliato, tormentato, umiliato e risorto con le sue ultime forze», che vive la scrittura come una necessità febbrile e un’ossessiva indagine sul lato oscuro dell’animo umano, in perenne lotta con i debiti, la malattia e una vita estrema in cui riecheggiano tanti motivi dei suoi capolavori letterari.

 

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