Recensione
Quando ho terminato la lettura di questo immenso capolavoro mi sono sentita svuotata, rimpicciolita quasi, come privata di qualcosa di essenziale. Senza rendermene conto ero entrata a far parte della vita della famiglia Joad, soffrivo e mi infuriavo con loro, percepivo tutta la loro miseria, la beffa che li aveva catturati e la discriminazione che avevano subito. E’ una storia attualissima, che non conosce tempo, quella raccontata da Steinbeck, che spiega come siamo arrivati alla società consumistica e cinica di oggi, in cui chi detiene il potere esercita sui popoli gli stessi identici meccanismi usati allora, e perché i popoli non si ribellano. Perché non sono uniti, le singole persone non sono unite, troppo impegnate a farsi la guerra tra di loro per ottenere delle briciole di pane per sollevare la testa e combattere contro le reali ingiustizie. Ma’ è un personaggio fantastico, forte e determinata, è lei il collante, la “leva” che ha saputo risollevare la sua famiglia dopo ogni colpo, dopo ogni caduta, dopo ogni perdita, dopo ogni umiliazione. La famiglia Joad è la classica famiglia patriarcale, ma qui, a portare i pantaloni è lei, Ma’, senza la quale gli uomini si sarebbero arresi molto tempo prima, avrebbero gettato la spugna sopraffatti da una vita di stenti, conseguenza dell’esproprio delle loro abitazioni da parte delle banche, della morte dei componenti più anziani del clan che non hanno retto al cambiamento imposto, alla perdita della loro casa e di anni e anni di duro e onesto lavoro contadino; alla difficoltà di trovare lavoro, alle paghe da fame, alla mancanza di cibo, alla mancanza di un tetto sopra la testa, ai soprusi, ai trattori che li hanno cacciati. Ma anche Tom, uno dei figli, è un grande personaggio: è colui che protegge, che diventa il simbolo della lotta, non solo per la sua famiglia ma anche per tutti coloro che vengono sfruttati, affamati, umiliati. «Dove c’è qualcuno che che lotta per dare da mangiare a chi ha fame, io sarò lì. Dove c’è uno sbirro che picchia qualcuno, io sarò lì […] E quando la nostra gente mangerà le cose che ha coltivato e vivrà delle cose che ha costruito… be’, io sarò lì». Dice alla madre prima di andarsene. Quello dei Joad, e di tanti altri mezzadri come loro, è un peregrinare senza meta in un mondo che evidentemente li ha masticati e sputati fuori, ormai inutili. Questo romanzo è una grande, enorme epopea che riguarda tutti noi, anche a 82 anni di distanza dalla sua pubblicazione, in cui i veri maestri di vita sono la strada e le privazioni, l’istinto di sopravvivenza e la certezza che nulla è garantito, che l’uomo è solo un oggetto in mano all’economia: sostituibile e assolutamente non indispensabile. E’ difficile spiegare in poche righe ciò che mi ha trasmesso questo libro, E’ un mondo, una visione nuova e al tempo stesso già conosciuta, e fa male. Questa storia la si deve leggere non solo con gli occhi, ma anche e soprattutto con il cuore e il cervello. E fa davvero male.
Trama
Pietra miliare della letteratura americana, Furore è un romanzo pubblicato negli Stati Uniti nel 1939 e coraggiosamente proposto in Italia da Valentino Bompiani l’anno seguente. Il libro fu perseguitato dalla censura fascista e solo ora, dopo più di 70 anni, vede la luce la prima edizione integrale, nella nuova traduzione di Sergio Claudio Perroni. Una versione basata sul testo inglese della Centennial Edition dell’opera di Steinbeck, che restituisce finalmente ai lettori la forza e la modernità della scrittura del Premio Nobel per la Letteratura 1962. Nell’odissea della famiglia Joad sfrattata dalla sua casa e dalla sua terra, in penosa marcia verso la California, lungo la Route 66 come migliaia e migliaia di americani, rivive la trasformazione di un’intera nazione. L’impatto amaro con la terra promessa dove la manodopera è sfruttata e mal pagata, dove ciascuno porta con sé la propria miseria “come un marchio d’infamia”. Al tempo stesso romanzo di viaggio e ritratto epico della lotta dell’uomo contro l’ingiustizia, Furore è forse il miglior romanzo della storia americana.