Recensione
Questo libro rappresenta letteralmente il tipico esempio del detto “sbagliando si impara”. Nel senso che la protagonista di questo dramma teatrale d’inizio ‘900, che si legge d’un fiato, godibile e fluido, a causa di un grossolano quanto grave errore legale, compiuto indubbiamente in buona fede, e alla sua vita di “bamboletta di casa” assoggettata prima al padre e poi al marito, riscopre l’importanza di essere prima di tutto una persona senziente, con dei diritti, delle convinzioni, delle idee e dei gusti propri, diversi da quelli del padre e del marito. Prima, o contemporaneamente all’essere donna, Nora prende coscienza di essere un’anima, una persona che ha il diritto/dovere di badare a se stessa, di conoscere il mondo e le regoleche lo determinano, in prima persona, non di riflesso. Non c’è niente che “non è adatto a lei perché donna”. Ho ammirato e amato molto questo aspetto del dramma di Ibsen, di come lui sia riuscito a mettere in scena gli eventi e la personalità finato gentile, ma profondamente egoista e arrogante del marito contrapposta alla fragile ma forte e determinata Nora e alla disperazione dell’impiegato di banca di Krostand e alla dipendenza da un uomo della signora Linde, l’amica di Nora. Condanno, però, la decisione finale di Nora. Una mamma non smette mai di essere tale. E Nora, nel pensare solo a sé è stata egoista tanto quanto il marito, condannando la figlia a dover vivere la stessa vita da “bambola” che lei ha vissuto fino a quel momento.
Trama