Sicuramente questo primo libro della milanese Teresa Righetti non fa per me. Di sicuro per altri, per un pubblico forse più giovane o con più affinità con i protagonisti, o con meno pretese. La prima cosa che non mi ha convinto di Se mi guardo da fuori (Dea Planeta, pp. 221) è stato il tipo di scrittura, che ho trovato vagamente immaturo e troppo adolescenziale, sembra il riflesso di un frettoloso flusso di coscienza di una ragazzina fra le pagine del suo diario. Una giovane donna, non più bambina ma neppure ancora adulta, che si sfoga raccontando le sue giornate, le persone che incontra, il rapporto a volte non proprio idilliaco con i suoi genitori, un amore che sembra sul nascere. Lo stile, infatti, è semplice e asciutto, forse troppo, ed è privo di “musicalità”, quel ritmo che lega una parola all’altra e ti trascina naturalmente all’interno della storia, che ti fa percepire, anche ad orecchio, come una frase suoni bene con la precedente e la seguente; come il filo di un gomitolo di lana che, in maniera molto ovvia, centimetro dopo centimetro, crea il maglione. Punto a favore è invece l’ampia riflessività, l’approssimazione con cui la protagonista, Serena, cerca di capire i propri sentimenti, il timore e la voglia, di emanciparsi e diventare indipendente; “l’affinare” le sensazioni e i comportamenti in base alle situazioni che si trova a vivere. Stati d’animo, ad ogni modo, circondati da un perenne senso di incompletezza, di mancanza di un qualcosa che possa chiudere il cerchio anche laddove non ce n’è necessità, di inquietudine che turba inutilmente l’anima e l’umore. Tutte caratteristiche, queste, tipiche della giovanissima età non solo della protagonista del romanzo, ma anche dell’autrice, che le lascia trasparire senza alcun filtro. Teresa Righetti vuole sicuramente comunicare, dire, far capire qualcosa al mondo degli adulti, e per questo forse dovrebbe maturare un po’ dal punto di vista letterario – stilistico per far giungere il messaggio alle persone giuste.