Il mondo dei tatuaggi ha sempre suscitato grande attrazione e, allo stesso tempo, timore in me. Non tanto per il dolore fisico che si può o meno provare durante una seduta, ma in quanto facilmente soggetto a “cambio di idea”. E se in futuro non mi piacesse più? O se non mi identificassi più nel mio tatuaggio? Se, nel corso degli anni, da positivo il significato del mio tatuaggio diventasse negativo o spiacevole, mettendomi davanti agli occhi ogni giorno una realtà fastidiosa? Da qui l’indecisione, anche sul soggetto da tatuare. Io sono una persona umorale, volubile, sono davvero poche le cose che nella mia vita sono immutabili. In fondo tutto nella vita può succedere e non ho proprio un buon rapporto con ciò che è permanente, soprattutto se riguarda il mio corpo. Ed ecco spiegato anche il motivo per cui Il tatuatore di Alison Belsham (Newton Compton, pp. 384) ha attirato subito la mia attenzione. Non ho potuto fare a meno di leggere questo thriller che già dalle poche righe della sinossi in quarta di copertina si preannunciava intrigante e con una marcia in più rispetto ad altri romanzi di questo genere ambientati nel mondo dei tatoo. E la marcia in più in effetti c’è. Nell’inquietante modus operandi che il killer (mai vi aspetterete che sia chi poi si rivelerà essere) che “tratta” i tatuaggi come opere d’arte, e non solo da un punto di vista puramente ideologico, ma anche concreto. Quando ho scritto “tratta”, infatti, intendevo veri e propri trattamenti fisici che, a ben pensarci, fanno venire la pelle d’oca. E’ di certo un romanzo originale e ben costruito, dinamico e con elevati spicchi di suspense che obbligano il lettore a rimanere incollato alle pagine e con dei personaggi realistici e caratterizzati. La trama è fluida, logica e invita chi legge a cercare di unire i vari pezzi del puzzle, tuttavia non riesco a stabilire se sia un pregio o un difetto il fatto che un personaggio che dovrebbe essere di supporto al suo coprotagonista risulti essere invece più sveglia, audace e intelligente dell’ispettore a capo delle indagini, sbrogliando l’intricato nodo della matassa. L’ispettore, infatti, a confronto fa un po’ la figura del fessacchiotto che, seppur animato da buone intenzioni e spirito battagliero, non solo non si accorge di alcuni elementi che poteva constatare anche da solo, ma sembra quasi insicuro, non osa, non spinge sull’acceleratore per stanare il killer. Ok, è il suo primo incarico ufficiale come ispettore, ma appunto per questo avrebbe dovuto mettersi in mostra più per audacia che per il lasciarsi influenzare, se non addirittura manovrare, dalla coprotagonista.
Cinzia Ceriani