Recensione
Breve ma intenso. Coinvolgente e profondo, forte ed emozionante come solo la protagonista di questo particolare monologo può essere, Frida Kahlo. Una donna, un’artista che mi è entrata nel cuore da tempo e di cui più leggo e più ne mette radici. Una lettura, questa di Cacucci, fluida, che scivola via con facilità dagli occhi ma non dall’anima. La celebrazione di una donna che, nonostante tutto, nonstante la sua “bara fatta di bustini ortopedici” che lei stessa ha decorato con fiori e abbellito con collane e gioielli, è stata in grado di urlare Viva la vida! Un messaggio chiaro e preciso, un inno, un non arrendersi mai che dà un nuovo significato al “vendere caro la pelle”; un dimostrare che a volte è davvero possibile farsi beffa della morte e lasciare un segno di sé.
Trama
Si tratta di un monologo che mette in scena l’appassionata esistenza di Frida Kahlo “detta” dalla protagonista dal vertice estremo dei suoi giorni. Mentre corre verso la morte, Frida torna ai patimenti della sua reclusione forzata (ripetutamente ingessata e condannata all’immobilità), ai suoi lucidi deliri artistici di pittrice affamata di colore, alla sua relazione con Diego Rivera. In poche pagine c’è il Messico, c’è il risveglio dell’immaginazione, c’è la storia di una donna, c’è la rincorsa di una passione mai spenta per un uomo. La sintesi infuocata di un’esistenza.