Avete mai prestato attenzione alle cose che iniziano? Vi siete mai soffermati a pensare che gli albori, ad esempio, di una nuova vita, una storia d’amore, un viaggio, un percorso scolastico producono un rumore specifico, e che questo rumore, a seconda più intenso o più delicato, una volta riconosciuto, potrebbe essere un valido antidoto alle sofferenze della vita? Teresa l’ha fatto. Con freschezza, originalità dello sguardo, fantasia creatrice, manifestazioni dell’amore potente e disinteressato che solo una nonna innamorata sa trasmettere, ha cercato di infondere quanta più sicurezza possibile alla nipotina Ada, abbandonata dalla madre, che “aveva altro di cui occuparsi”, insegnandole a far attenzione a un aspetto particolare della realtà che ci circonda: il rumore che fanno le cose quando iniziano. “Devi fare attenzione al rumore delle cose che iniziano”, le dice un giorno in cui la accompagna all’asilo e la mano di Ada sembra essere diventata un tutt’uno con la sua, “devi avere pazienza. E stare attenta […]. Da allora, Ada aveva capito che le cose, quando finiscono, lo fanno in silenzio. Mentre quelle che iniziano fanno un rumore bellissimo”. La speranza di Teresa, che neppure in ospedale, gravemente malata, rinuncia ad avere vicino al letto le scarpe da ballo e a rendere visibile la sua libertà mettendosi il rossetto, è quella di preservare la nipote, quando lei non ci sarà più, dagli schiaffi che la vita sparpaglia qua e là, scagliandoli a volte senza pietà anche su chi è già stato duramente colpito, come Ada appunto. Prima di lasciare andare questo personaggio al suo destino, vorrei soffermarmi su un’altra chicca che la protagonista più anziana de Il rumore delle cose che iniziano (Rizzoli, pag. 328), libro d’esordio della giovane Evita Greco, trasmette ad Ada nella sua lettera-testamento. Tra le altre bellissime indicazioni, la nonna scrive: “Io non lo so perché, forse non lo sa nessuno, ma certe volte l’impegno non basta per l’amore. E l’amore non basta per l’impegno. Non basta per continuare a impegnarsi”. Umilmente e saggiamente, Teresa ammette di non avere le risposte per ogni quesito della vita, ma fa di tutto perché Ada possa capire quanto sia importante scoprire la vera natura che ci costituisce e prendercene cura, ri-conoscendoci anche attraverso gli sguardi degli altri, di chi vive con noi, di chi dice (e dimostra) di volerci bene. Come avrete capito, Teresa è un personaggio che colpisce dritto al cuore, per la sua disarmante semplicità, la gioia di vivere e l’amore coraggioso con cui accetta la sfida di allevare la nipotina, impaurita e a volte spersa, da piccola in ambito scolastico, anche a causa della dislessia, poi, da adulta, nella realtà quotidiana. Ada mi ha ricordato un po’ Alice nel paese delle meraviglie: è tenera, mai banale, sa guardare il mondo con lo sguardo puro e sincero che la nonna le ha trasmesso, stupendosi di cose piccole e, agli occhi dei più, insignificanti. “Tutti sono sconosciuti, fin quando non si regalano un fiore”, afferma quando, in ospedale, conosce Matteo, il “ragazzo del riflesso”, verso il quale scatta una passione improvvisa quanto imprevista. Ada cerca nei nomi propri “un modo per poi ritrovare la strada più facilmente, per mantenere un punto fermo”; per lei il lavoro è una cosa bella “se migliora la vita a qualcuno” e per quanto riguarda le terapie somministrate alla nonna osserva: “ che razza di cura è [ … ] una che prima di farla cammini e dopo no?”. Si serve della teoria della tettonica a placche per spiegare i tradimenti tra le persone e dice “grazie” per ogni cosa, come nota Matteo, pensando “che non ce n’erano più di ragazze così”. Fin qui il romanzo si rivela intenso, ma di una forza soave, poetica, delicata. Dopo la morte di Teresa, le situazioni si aggrovigliano, la suspance aumenta e la vita comincia a chiedere il conto, a battere i colpi più forti e violenti, come quelli che Ada infligge al casco da palombaro che ha regalato a Matteo. Diventa difficile cogliere i bellissimi rumori delle cose che stanno per iniziare, perché sembra che tutto stia per sgretolarsi. Si aprono crepe, si insinuano dubbi nell’amore tra i due ragazzi. La Greco, però, con sapienza e maestria, tiene per mano tutto e tutti, non lascia sfilacciare la trama, dosa i tempi di attenzione nei confronti dei suoi personaggi e guida il lettore sempre più in profondità, negli interrogativi che nascono nel cuore e nella testa di Ada e Matteo, ma anche di Giulia. Quest’ultima è l’infermiera tutta d’un pezzo, una roccia che non si sgretola che, amorevolmente, sin dall’inizio si prende cura di Teresa, divenendo grande amica e consigliera di Ada. In confronto alla diversa bellezza, esteriore e interiore, delle due donne, Matteo risulta forse caratterialmente più superficiale, poco deciso, opportunista anche. Ad un certo punto mi è diventato addirittura antipatico ma poi, a ben pensarci, ho valutato che l’autrice ha saputo mettere a nudo il personaggio, puntando sugli aspetti della fragilità e di un’umanità confusa. Niente a che vedere con la determinazione di Giulia che, come Teresa, ha trovato il suo segreto di vita: “nel dolore, aveva capito, non si riesce a guardare le cose in prospettiva”. Allora bisogna cercare di allontanarsi, di liberarsene, di non farsi inghiottire, per sapere cogliere, sempre con stupore e grande attenzione, il mistero e la bellezza di ciò che invece inizia. Lara Massignan