Se da ragazzo ti ritrovi con un fratello maggiore come Claudio, leale, generoso, sorridente, puro e misurato ma che, all’occorrenza, sa anche menare, “lontano dagli intellettuali ma amante dei classici di qualunque attività artistica [ … ], sfuggente e irresponsabile eppure desiderato da ogni madre e da ogni figlia”, imbattibile anche a Forza4, insomma, in una parola, perfetto, immagini che la vita non potrà che sorriderti e, nonostante l’asma e l’uso del Ventolin, avrai sempre qualcuno che ti sarà vicino, vegliando su di te. Se, però, un Botto notturno sulla rampa di una tangenziale romana strappa drammaticamente e improvvisamente alla vita questo fratello, che cosa ti rimane da fare? Dopo 13 mesi dall’incidente, nonostante le rassicurazioni delle forze dell’ordine, nessuno si è costituito o presentato a casa di Luca e dei suoi genitori per scusarsi e chiedere perdono. Nessuna pista o testimone, a parte gli imprecisi indizi forniti dall’anziana signora Tommasi, che racconta di un “macchinone da ricchi” ( un Suv nero ) con i tubi d’acciaio sopra il tetto, tranquillamente ripartito dopo aver fatto retromarcia per controllare lo scooter travolto. E così Luca inizia a mettere in atto con maniacale precisione e determinazione un solitario, difficile e, se non fosse irriverente nei confronti del dolore che prova, oserei dire strampalato piano, con lo scopo di scovare ed eliminare le aragoste, come definisce gli uccisori del fratello, attaccando nelle parti più molli i loro gusci. Vari aspetti mi hanno colpita e incuriosita leggendo questa opera prima di Piero Balzoni, edita da Giulio Perrone. Anzitutto la particolarità della trama, ispirata “a fatti che accadranno realmente”, come si legge sulle pagine che precedono l’inizio della narrazione vera e propria. Durante lo scorrere della vicenda, infatti, i personaggi vengono via via “trasformati” dall’addolorata mente straziata di Luca e dal suo corpo sofferente d’asma e di pustole virulente, provocate dall’accrescere dell’odio interiore, in svariate tipologie animalesche, che trovano collegamenti con somiglianze fisiche o comportamentali. L’attenzione scritturale, poi, è concentrata sulla realizzazione della vendetta e sull’evolversi della malattia sul corpo del protagonista. Non traspaiono emozioni, non c’è spazio per la consolazione o la condivisione di sentimenti e stati d’animo. Tutto sembra essersi anestetizzato in una parvenza di vita che comunque, per chi rimane, va avanti, lasciando al fratello minore l’incarico finale della resa dei conti. Solo una volta il protagonista si lascia andare a un “dovevo morire io, Cla’. Non sono capace di fare niente, io”. Una frase che emana un dolore potente, fatto di sconforto, di consapevolezza dell’incapacità di proseguire da solo nelle storture della vita, ma anche di desiderio di dimostrare che, almeno la morte del fratello, quella sì, è in grado di vendicarla. A questo fine ultimo Luca sacrifica durante le giornate tutti i vari elementi “di disturbo” o perdite di tempo, dalle amicizie agli studi universitari, perfino l’amore per la fidanzata storica Viola, verso la quale l’unico pensiero di tenerezza ha a che fare con sei anni persi, da restituirle. Se vuole avere qualche speranza di riuscire nell’intento, mentre a casa sua all’inizio “era tutto silenzio e fazzoletti dell’ipermercato”, Luca infatti deve cercare di diventare come le aragoste, che non provano nulla, “nessuna emozione, nemmeno la più semplice. Il dolore”. Le persone ricche che hanno ucciso suo fratello, similmente ai crostacei, “se ne stavano infilati dentro alla corazza spessa delle auto metallizzate, si ritiravano nei carapaci di ville erbose e soffici, protette da muri di cemento e inferriate di metallo, con le antenne dritte contro il vento per fiutare ogni possibile pericolo”. In questo folle ma comprensibile piano di uccisione, l’unico contatto con il mondo reale è costituito per il giovane eroe dalla sveglia del cellulare, che continua a suonare per ricordargli impegni di vario tipo, dall’acquisto di farmaci a scadenze universitarie e, successivamente, disposizioni tattiche per le armi che si è procurato. Luca ispira tenerezza per la sua caparbietà nel proseguire lo scopo, per il desiderio di riscatto, vissuto con la pura genuinità attraverso la quale si inseguono i sogni più alti. Un sogno di morte, però, purtroppo. Come uccidere le aragoste (Giulio Perrone editore, pp. 229) è un romanzo intenso, di profonda denuncia sociale e di invito a riappropriarci dell’umanità che ci è stata data, smettendola di “giocare a nascondino con le proprie vite” per imparare ad assumerci le responsabilità che ci competono perché, quando non c’è giustizia, l’unico spazio di apertura possibile sembra essere quello riservato all’odio e alla vendetta.