Non si può mai sapere, se non all’ultimo minuto, se il male che distruggerà la nostra vita e sconvolgerà la nostra famiglia, rompendo quegli equilibri su cui da anni s’incammina l’anima funambula della nostra esistenza, sia dentro di noi oppure no. Un morbo, un qualcosa di subdolo e strisciante che, seppur privo di corpo fisico, è dotato di un ingombrante peso specifico che serpeggia fra i nervi, i muscoli e i tessuti di cui sono fatti gli organi, divorandoci dall’interno. Invisibile. Inconsistente. Spietato. E quando arriva, poi non se ne va mai da solo. Con sé porta via anche la dignità, le lacrime e il copro, ormai ridotto ad una tremolante larva, del suo ospite.
E’ con voce vibrante, urlata quasi, ma con parole sempre modeste e con espressioni quasi poetiche che Valeria Pecora, nel suo romanzo breve, Le cose migliori (Lettere Animate, pp. 75), descrive il lungo e a tratti delirante calvario di una famiglia del ceto medio dilaniata da un nemico infido e inaspettato che ha scelto di colpire la sua vittima nel fiore degli anni, con un marito affettuoso, una carriera di insegnante da realizzare e tre figlie piccole a cui dover ancora insegnare tutto della vita. Un nemico che non si è accontentato, e ha voluto conquistarsi anche i riflettori della ribalta scientifica, andando a costituire, siamo negli anni ’90, uno dei primi casi di Parkinson giovanile.
Con una dialettica ricca e melodiosa e uno stile sobrio ma che sa arrivare al nocciolo, e al cuore di chi legge, l’autrice ha saputo rendere reali i personaggi e tangibile il loro dolore e le loro difficoltà; è stata in grado di costruire una storia suggestiva, che sembra quasi attinta da esperienze realmente vissute. E’ facile identificarsi nella narrazione, pulita e lineare, credibile sotto tutti gli aspetti. E’ un libro commovente, in grado di produrre moti interiori e riflessioni. I problemi descritti e vissuti dai protagonisti del romanzo sono veri, li si avvertono sulla pelle. Le cose migliori, in esperienze di vita come questa, sono le prime ad andarsene, ad essere messe da parte perché futili, ad essere dimenticate perché cambiano le priorità, ma sono anche le uniche a rimanere, sotto altre forme. Viene attribuito loro un significato diverso, meno banale e più particolareggiato. Le cose migliori non sono più, a questo punto, la festa di Natale in sé, ma il fatto di poter trascorrere un Natele in più con la propria famiglia, non importa se al ristorante o a casa, l’importante è stare insieme, perché ogni ora, ogni giorno, ogni anno è conquistato a fatica, aggrappandosi con le unghie e con i denti a quella stessa vita che altro non ha fatto se non voltare le spalle. Unica pecca è la punteggiatura, un po’ carente.
Cinzia Ceriani