“Il dolore lo esprimono tutti allo stesso modo, non puoi e non vuoi affogarci dentro, e alla fine arriva l’abitudine a regalarti un giubbotto di salvataggio: quel giubbotto è una necessità, un bisogno di arrestare l’avanzata di uno tsunami che rischia di prenderti l’anima e di ucciderti dentro.”
Non volevo iniziare la recensione di E nel cielo brillano le stelle di Pietro Moros (Leone Editore, pp. 182) in questo modo, con un estratto dal libro, ma più ci pensavo e più capivo che non c’era altra forma per farlo, non esisteva altro sistema di spiegare il dolore e l’angoscia che si percepiscono, a pelle, grazie agli intensi e reali personaggi, se non attraverso le parole stesse dell’autore. Il romanzo di Moros è un pugno nello stomaco per la palese realtà che ci mette davanti, pagina dopo pagina. Per il cinismo e la crudeltà di una società sempre più allo sbando, in cui gli adolescenti sono costretti a vivere, spesso, per fortuna non sempre, alla deriva, senza una reale guida che li metta in guardia sui pericoli, possibili o sicuri, o un concreto aiuto che li sostenga, una mano tesa che li conduca fuori da situazioni e “faccende” più grandi di loro, della loro esperienza di vita. Giochi che, da innocenti, senza che neppure se ne accorgono diventano troppo pericolosi, disseminati di trappole invisibili ai loro inesperti occhi, e tutto precipita. Tornare indietro è impossibile, le soluzioni sono complicate da raggiungere, lontane anni luce, e i genitori… i genitori sono troppo presi dai loro problemi, grandi o piccoli che siano, per accorgersi della montagna che sta franando sotto i loro occhi. Non hanno visto i sassolini di avvertimento e ormai è troppo tardi per arginarla. Si può solo sperare che non travolga tutto e tutti. Alcuni si salvano, altri purtroppo no. Si cercano le vie di fuga, quelle più vicine e facili da raggiungere, quelle che consentono di porre finalmente fine alla sofferenza.
E nel cielo brillano le stelle è un urlo di disperazione di una generazione alle prese con una realtà che è troppo subdola e cattiva; è un grido espresso con uno stile narrativo che ripropone l’identico modo di esprimersi degli adolescenti, lo stesso slang, l’uguale modo di rapportarsi e di comunicare, non a voce, ma con un quaderno che, forse volutamente, Ambra lascia distrattamente sul letto della sua camera. Le poche pagine scritte a mano che raccontano l’orribile vicenda che ha segnato la sua vita e quella dei suoi amici, trovano in suo padre un casuale, attento e affranto lettore.
E’ un libro che dovrebbero leggere tutti, genitori e adolescenti, non tanto per la storia in sé, ma più per la riflessione che ne deriva, per imparare a cogliere i segnali, per non dimenticare che anche la vita dei giovani, non solo quella degli adulti, ha i suoi problemi, spesso dettati dall’inesperienza, dalla voglia di conoscere e sperimentare, dall’irruenza e dall’ingenuità. Un libro toccante e intenso che, lo ammetto, qualche lacrima me l’ha fatta versare. Consigliatissimo. Cinzia Ceriani