Un mondo senza regole. Un mondo senza adulti, senza obblighi e responsabilità. Un mondo senza doveri né leggi. Non è un sogno ma un incubo. Un brutto, quanto reale sogno in cui l’unica cosa che conta è sopravvivere, almeno fino ai 18 anni perché oltre non è concesso vivere. La città, la società come la famiglia, non è più quella di prima, ora la famiglia sono i figli dei vicini di casa, i compagni di scuola, ragazzi divisi in gruppi a seconda del modo di intendere la vita, quella che era prima del virus e quella che rimane prima che il virus uccida anche loro, uno ad uno, lentamente, con il tempo. Sembra quasi che l’epidemia che ha decimato Berlino abbia voluto divertirsi, scegliendo le sue vittime in base all’anzianità. Prima gli adulti, poi, man mano che crescono, gli adolescenti. Berlin – I fuochi di Tegel (Mondadori, pp. 200) di Fabio Geda e Marco Magnone è una corsa contro il tempo, in tutti i sensi. E’ un fantasy distopico ambientato nel passato anziché nel futuro, nella Berlino del 1978 devastata, tre anni prima, da un’epidemia che ha posto il veto sulla crescita, perché diventare adulti significa andare incontro alla morte. Per questo i personaggi devono essere pratici, concreti e reali, scegliere come vivere in base all’età. Più si è piccoli, ma senza essere bambini, più si ha la possibilità di portare a termine determinati compiti, per il bene di se stessi e della comunità. Nessun adulto, nessun adolescente, nessun bambino. Il virus si è portato via tutto. Gli affetti, la famiglia, l’infanzia, gli anni spensierati delle scorribande fra amici e il futuro. L’unica cosa che rimane è l’oggi. E bisogna imparare in fretta. E’ un romanzo semplice e dinamico che, anche se rivolto ad un pubblico giovane, nasconde in sé una profonda riflessione su ciò che significa diventare adulti, sulla fragilità dell’uomo e di quanto questa, per mano dell’uomo stesso o della natura, possa essere continuamente soggetta a rischi; sull’importanza del tempo che ci è concesso. Spetta a noi scegliere se viverlo come Cloe o come Sven. A leggerlo si fa presto, due, tre sere al massimo, tanto è coinvolgente. E’facile affezionarsi ai personaggi, fare il tifo per loro, pensare “lui ha ragione e lei ha torto” o viceversa, arrabbiarsi per le scelte che fanno, prendersi a cuore la loro sorte. Sono personaggi “vivi” che il lettore percepisce chiaramente, forse perché le vicende si snodano in un territorio conosciuto e a noi vicino. Ed è un punto a favore per due autori italiani che riescono a conferire interesse e a porre la loro firma su un genere letterario nuovo e tipicamente d’oltre oceano. L’impianto narrativo è ben articolato e gli eventi e i ricordi si susseguono e s’intrecciano in maniera logica e naturale. Forse, nei prossimi capitoli della saga, Jakob, Christa e gli altri potranno di nuovo ammirare il cielo azzurro sopra Berlino. Cinzia Ceriani