Recensione
Memorie di un libraio di George Orwell è un libretto sottile che raccoglie una serie di articoli scritti e pubblicati da Orwell nell’arco di dieci anni, dal 1939 al 1949. Incentrati sulla scrittura, sui libri e l’importanza della lettura, altro non sono che il pretesto per discutere di totalitarismo e censura (interessantissimo il modo in cui l’autore usa i libri e la lettura per parlarne), muovendo una feroce critica alla società che, con un non poco velato cinismo, l’autore giudica arresa, superficiale e indifferente alla cultura e al suo svilimento e alla sua manipolazione perché troppo assorbita da altre infruttuose, quanto inutili, attività ricreative (e come dare torno a Orwell?) che le persone prediligono in quanto ritenute più importanti, o comunque più semplici, meno impegnative e meno scomode da affrontare. “[…] non occorre riflettere si può, così facendo, sfuggire e ignorare la realtà, basta avere sigarette e whisky”.
Orwell, da bravo scrittore qual era, ancora una volta precorre i tempi, predice il futuro delle società con l’aiuto della letteratura, di quelli che lui chiama “i buoni cattivi libri” e della religione. Non solo, chiama in causa anche i motivi per cui si scrive e illustra la differenza tra uno scrittore, un giornalista e uno scienziato. Non nasconde minimamente le sue idee politiche e i pericoli che si celano dietro il totalitarismo, di qualunque matrice politica esso sia. Con questi scritti Orwell induce a una riflessione non esplicita, ma comunque molto presente, riguardo a ciò che è il punto fondamentale: siamo davvero usciti dal totalitarismo, di destra o di sinistra poco importa, o ci siamo ancora dentro con tutte le scarpe? E se in realtà il totalitarismo non è mai sparito, ma ha semplicemente cambiato forma, espressione, modo d’imporsi e di agire imparando a dosare meglio e con più precisione il vecchio, caro metodo del bastone e della carota? Questa è la domanda che sorge prepotente una volta terminata la lettura, se la lettura è stata attenta. Orwell ha uno sguardo scrupoloso e analitico della realtà, e a quasi ottant’anni da questi testi, sembra che li abbia scritti ieri.
E’ stato cambiato tutto per non cambiare niente? Può essere.
Schietto, sincero, unico e senza peli sulla lingua, Orwell oggi non avrebbe pietà per nessuno e, per certi versi, avrebbe pure ragione. Fatevi un piccolo regalo, costa poco ma vale un milione. Compratevi questo libricino e leggetelo, comparate le parole di Orwell con il tipo di società in cui viviamo oggi e ciò che la caratterizza: i social, la cancel colture, il politicamente corretto, le mode, l’estremizzazione di modi di pensare e di alcuni valori, la persistente propaganda su una cosa o un’altra che spesso si fatica a distinguere dall’informazione, la manipolazione della comunicazione e della politica. Vi verranno i brividi.
Trama
Memorie di un libraio è un ironico, colto, originale viaggio nel mondo dei libri in compagnia di uno dei più grandi autori del Novecento. George Orwell descrive le lunghe giornate trascorse come commesso in una libreria dell’usato, tra volumi polverosi e clienti stravaganti; ci fa apprezzare quei «buoni brutti libri» che, pur senza pretese, offrono un’oasi di pace; abbozza il ritratto del «recensore tipo», costretto a elogiare anche ciò che disprezza; dimostra cifre alla mano che leggere è un passatempo più economico di molti altri. Come osserva Romano Montroni nella sua appassionata prefazione, queste memorie di quasi un secolo fa non si limitano a rivelarci il volto meno noto di Orwell: ci raccontano anche il fascino di un mestiere senza tempo che assomiglia ancora oggi a una vocazione.
Dove acquistarlo