Ho visto che questo romanzo è stato definito da più parti “mozzafiato”, ecco… no. Io non userei proprio questo aggettivo per descriverlo, lo definirei più un thriller psicologico molto sottile, talmente sottile che a volte occorre leggere tra le righe per cogliere la sfumatura. È un thriller che non gioca sulla suspence, sull’adrenalina, sull’attesa, ma gioca su tutt’altro piano.
Più che la trama in sé, ciò che ho trovato davvero interessante in La collana di Matt Witten (Fazi, pp. 324) sono gli spunti di riflessione che fornisce, e che spesso durante la narrazione coincidono con le sfumature di cui scrivevo. Attraverso un sapiente gioco di alternanza temporale, frasi e descrizioni solo all’apparenza “innocue” e banali e personaggi ben costruiti ci parla di strumentalizzazione del dolore, manipolazione, fragilità familiari, perversioni e abusi; pone l’accento sulla cecità e la fallacità di un sistema giudiziario che a volte condanna con troppa fretta solo per chiudere un caso scomodo, controverso, per assecondare la sete di vendetta, che non è giustizia, da una parte e la voglia di far carriera dall’altra.
Punta un enorme faro sulla pena di morte, vista come “atto supremo di giustizia.” Ma è davvero così? La pena di morte che ancora vige in alcuni stati degli Usa rappresenta davvero un atto di giustizia o è solamente un occhio per occhio dente per dente fine a sé stesso? Se l’uomo che si macchia di omicidio non ha alcun diritto di togliere la vita a un’altra persona per nessun motivo, chi o cosa conferisce tale diritto a chi amministra la giustizia nei confronti del colpevole che, fino a prova contraria, è una persona? E in questa condanna, davvero è solo il colpevole l’unica persona coinvolta? Questo, e altro, ho trovato tra le pagine di Witten che, a mio avviso, usa lo schema classico del thriller per dirigere l’attenzione su altri argomenti. Non a caso, infatti, una buona fetta del romanzo è occupata dai dubbi che la protagonista, a cui vent’anni prima hanno ucciso la figlia e ora si deve recare ad assistere all’esecuzione del suo assassino, nutre nei riguardi della pena inflitta, benché sia stata chiesta da lei al processo, e sul modo in cui furono condotte le indagini. Il dubbio, fermo e costante, è il perno attorno cui ruota la storia, privata sì di adrenalina, limitata a davvero poche pagine, ma sostituita da una buona dose di componente umana ed emotiva. Consigliato a chi ha voglia di porsi delle domande.
Cinzia Ceriani
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