Recensione
Questo è sicuramente il libro più strano che ho letto nel 2023. Narrazione emotivamente serrata per raccontare una discesa verso il basso, verso l’incubo, verso il vuoto dell’anima di vittima e carnefice. Un vuoto pesante e tangibile, che dovrebbe “lavare via” e che in realtà “riempie”. Due anime legate da un tormento reciproco che è sia causa che effetto e che non guarirà mai, non passerà mai. Vittima e carnefice vivono distanti ma vicini, perennemente sul filo del rasoio. Due vite che, seppur consapevoli di quanto accaduto, cercano di andare avanti e inevitabilmente, come se camminassero su lastre di ghiaccio inclinate, ricadono indietro, nel baratro dell’orrore e del dolore provocato e subito. Un thriller che non è un thriller, un noir che non è un noir. Un romanzo la cui semplice lettura non è sufficiente, richiede di essere sminuzzato e analizzato, compreso ed empaticamente accettato. Tagliente, affilato e finemente articolato, è un gioiellino psicologico.
Trama
Una scrittrice promuove il suo libro alla tv francese. Un uomo rimane sconvolto dall’apparizione: la scrittrice è la figlia della donna che ha assassinato trent’anni prima. Condannato all’ergastolo e poi uscito per buona condotta, conduce ora un’esistenza qualunque, reinserito nella società come giardiniere municipale a Nogent-le-Rotrou. Proprio qui l’autrice presenterà il libro cinque giorni più tardi, e per l’ex detenuto inizia un conto alla rovescia destinato a scuotere l’ordine di una quotidianità pazientemente ricostruita. Mescolando storia intima e finzione in un evocativo realismo poetico, Sophie Daull fa rivivere sulla pagina una vicenda personale raccontandone la violenza e il dolore, il tentativo di lavare via la colpa o la memoria, interrogandosi su cosa sia a determinare ciò che si diventa, sulla possibilità del pentimento e del perdono.