Recensione
Romanzo-memoire autobiografico che, nonostante mi aspettassi più storico (per gran parte è ambientato durante gli anni che il Muro divideva Berlino in Est e Ovest), mi è piaciuto molto. L’ho letto in pochissimo tempo, credo in tre giorni. Per molti versi la Schubert mi ha ricordato, per stile, aspirazioni personali e dinamiche familiari, la scrittrice danese Tove Ditlevsen (di cui Fazi ha pubblicato la trilogia di Copenaghen). Scrittura asciutta, compatta, essenziale, dritta al punto. Un po’ come doveva essere la vita nella Germania di quegli anni. Una quotidianità, una fanciullezza e un’adolescenza per nulla semplice da vivere e da gestire che si riflette, come in uno specchio, in una narrazione non sempre facile da seguire, fatta di numerosi salti temporali e lunghi flussi di coscienza. Eppure cattura, attrae e incuriosisce, non si riesce a staccarsi dalle pagine, dal dolore, dalla sofferenza e dalla confusione che raccontano. L’unico sostegno di Helga era la sua nonna, la sua colonna portante, il suo punto di riferimento. Libro sentito e sofferto, maneggiare con cura.
Trama
La piccola Helga si risveglia dopo il pisolino sull’amaca nel frutteto della nonna e trova ad aspettarla una fetta di torta e una tazza di caffè surrogato; è il primo giorno delle vacanze estive, e la sensazione di libertà è inebriante. È con questa fotografia, scattata nei primi anni Cinquanta nella Germania dell’Est, che iniziamo a sfogliare, insieme all’autrice, l’album dei suoi ricordi. Il padre è stato ucciso da una granata sul Volga quando lei aveva soltanto un anno, e da allora è un eroe che prende vita in una serie di figure maschili laterali: amici, vicini di casa, candidati a un posto di padre rimasto sempre vacante. Dall’altra parte, una madre fredda, provata dalla guerra, ma anche poco affettuosa per indole. Il rapporto con lei non è mai stato facile, ma la figlia le è grata: in fondo, nonostante tutto ha deciso di tenerla, l’ha portata con sé quando è fuggita durante la seconda guerra mondiale e ha rinunciato all’idea di avvelenarla nel momento dell’invasione russa. Una pagina dopo l’altra, arriviamo con lei all’età adulta, e osserviamo la vita nella DDR per una donna colta e attiva nel milieu culturale, guardata con sospetto e costantemente sorvegliata dalla Stasi. E infine, la caduta del Muro quel fatidico 9 novembre, l’abbraccio imbevuto di pianto con il marito e poi la folla a Unter den Linden, con la mezzanotte illuminata a giorno. Una vita composta di tante sfide, di conflitti, di resistenza.