Recensione
Con la Nemirovsky ormai si sa, l’ho detto e ribadito mille volte, non si sbaglia mai. E a costo di essere ripetitiva, lo scrivo di nuovo: la Nemirovsky è una certezza letteraria. Questo romanzo, uno dei suoi più famosi, conosciuto e citato, è un vero gioiellino che mescola sapientemente cinismo e pietà. L’autrice, infatti, ci parla di quel meccanismo, assolutamente spietato in alcune circostanze, che trae la sua origine dalla miseria e dalla disperazione, quando si tenta in tutti i modi di sopravvivere e si capisce che non si può farlo ancora a lungo. Ed è qui che scatta l’accettazione di qualunque compromesso pur di poter vivere in maniera dignitosa, sicuri di avere il piatto in tavola. Sicuri di poter mantenere la propria famiglia. E’ una battaglia interiore, con se stessi, ed esteriore, con la società, che spinge a rivedere, rimodellare, riadattare la propria intima natura a quell’unico salvagente a disposizione. Alcuni hanno definito, secondo me superficialmente, il protagonista un arrampicatore sociale. No, non del tutto almeno. Le sue azioni non erano deliberate o studiate. Lo sono diventate solo dopo, in un secondo momento. Mors tua, vita mea. Lui ha solo colto un’occasione. Questo è il succo. E quindi mi chiedo: dov’è il limite? Fino a che punto si può accettare di preferire se stessi agli altri, di ferire gli altri per salvare se stessi? Sottile, struggente e all’apparenza ingannevole il confine tra egoismo e istinto di conservazione.
Trama
«Chi ha amato Suite francese non può perdersi questo romanzo della Némirovsky. Un Faust di inizio ‘900, la storia drammatica dell’emigrato Dario e di sua moglie Clara, originari di Odessa, che sperano di trovare a Parigi un paesaggio umano che li redima dalla fame e dal disprezzo … Una storia potentissima, sporca di fango e con accenti gotici, un’analisi dolorosa dell’essere umano e delle sue bassezze … Un capolavoro» – Valeria Parrella