Lernet-Holenia è un autore austriaco che volevo conoscere e affrontare già da un po’, per diversi motivi. In primis per la curiosità che mi aveva suscitato la particolare storia editoriale di questo romanzo, Marte in ariete (Adelphi, pp. 219), che ha rischiato per le azioni scellerate del ministro della Germania nazista Goebbels di andare perduto per sempre, per gli argomenti trattati e poi per quel quel tratto ironico e vagamente distaccato, quasi leggero con cui descrive i fatti storici che hanno visto lo stesso autore prenderne parte attiva nella realtà, in questo caso l’occupazione della Polonia, che ha sancito il via definitivo all’inizio della Seconda guerra mondiale. Un fatto che, però, come dicevo, sembra passare in secondo piano rispetto al tema centrale del romanzo: l’amore. Un amore non banale, un amore sentito che, come un po’ tutti gli eventi narrati, sfiora i limiti dell’onirico e del soprannaturale. Ma andiamo con ordine. Partiamo dal titolo. Marte, nell’antichità, era il dio della guerra; l’ariete, da parte sua, si identificava come la “macchina da sfondamento” usata dagli Assiri nei combattimenti e negli assedi ma simboleggiava anche la natura e il senso del sacrificio per eccellenza. Avere Marte in ariete, tuttavia, è anche un modo per indicare una persona che non è in grado di agire secondo piani e idee preordinate e che si “lancia” in qualcosa quasi senza arte né parte, con la forza. Una metafora perfetta per raccontare quanto stava storicamente avvenendo. Ecco perché alla propaganda del Terzo Reich questo libro non piaceva. Era una critica. Tant’è che ordinò la distruzione di questo romanzo che, oltre a disapprovare, racconta in maniera definita superficiale, senza elogio né importanza, l’azione bellica in atto. Non ne descrive la “grandezza”, ne descrive lo scempio umano, ambientale (polvere, mancanza di luce, nubi oscure a incombere dal cielo) e militare su una «infelice, vinta, distrutta Polonia». E l’amore. Quell’amore che si manifesta nel protagonista in maniera inaspettata e quasi spasmodica, preoccupato più di non rivedere la sua amata (che è mai esistita poi?) che non di morire durante l’invasione. Figure oniriche ed evanescenti, forse fantasmi, occupano la mente e lo sguardo dell’ufficiale Wallmoden, che riferisce in prima persona gli eventi con un linguaggio sensuale e lirico, mettendo al centro di tutto la donna e le considerazioni sulla morale sociale. I lettori vengono catapultati indietro nel tempo, avvolti in un’atmosfera affascinante e avvolgente, colta e a tratti surreale. Assolutamente da leggere e recuperare, ma con delle avvertenze. Ritengo infatti che non sia un libro semplicissimo, costruito su metafore e simbolismi che richiedono attenzione e capacità di leggere tra le righe.
Cinzia Ceriani