Anomalo. Questo, di primo acchito, è l’aggettivo che mi viene in mente nel ripensare a Il caso Morel di Rubem Fonseca (Fazi editore, pp.196). Un giallo/noir sopra le righe che necessita di un po’ di rodaggio prima di entrare nel mood. Uno scritto ambivalente che mostra le sue doppie facce: un romanzo nel romanzo, un detective scrittore che indaga su un efferato omicidio attraverso gli scritti del presunto assassino. Un giallo che, praticamente, si scrive da solo attraverso i personaggi e uno stile crudo, diretto, fatto molto spesso di botta e risposta, con descrizioni ridotte non all’osso, ma al midollo, un’impostazione quasi teatrale di alcune pagine. E così, attraverso Morel e Vilela, l’autore riesce non solo a descrivere una psicologia non facile dei suoi protagonisti, spesso esasperanti e in bilico tra follia e ragione, ma anche la misera realtà di certe zone del Brasile, la sua degradazione a volte morale e la fatica di vivere in un Paese tanto affascinante e carico di spirito “carioca”, fatto di lusso e divertimento sfrenato, quanto povero e desolato, popolato da individue spesso soli, lasciati a loro stessi e allo sbando in cerca di un posto sicuro, che sicuro non è mai, per non finire – inevitabilmente – a camminare sul labile confine che separa la legalità dall’illegalità. Tutto, in questo romanzo d’esordio del famoso autore sudamericano, è dualistico e contrapposto: ricchezza e povertà, crimine e sopravvivenza, sesso di lusso e prostituzione, scrivere di omicidi sia dal punto di vista del presunto colpevole sia dal punto di vista del tutore della legge. È un romanzo dalla doppia anima. Devo ammetterlo, mi ci è voluto in po’ per “entrare” nel libro, all’inizio soprattutto, per quanto scorrevole e veloce sia la sua lettura, può risultare respingente, proprio per lo stile a volte caustico e freddo dell’autore, ma una volta superato lo scoglio si arriva alla fine senza neppure accorgersene, continuamente sballottati da un ritmo incostante ed eventi altalenanti. Nonostante il genere letterario a cui appartiene, in genere considerato “leggero”, è un romanzo da leggere con molta attenzione, tra le righe, perché Fonseca non palesa tutto ciò che vuole comunicare, gran parte dei messaggi, almeno questa è la mia impressione, li nasconde abilmente fra le parole e lascia al lettore la libertà-volontà-abilità di scovarli e comprenderli. Proprio come se fosse un buon giallo.