Home » Il pastore d’Islanda di Gunnar Gunnarsson

20221207_093148

Recensione

E’ una favola, una sorta di parabola natalizia perfetta, che parla di rispetto. Rispetto per gli animali, perché anche la loro vita conta, rispetto per la natura e per i suoi cicli, rispetto per la fatica, per chi ce la fa e chi non ce la fa. Parla anche dell’eterna lotta per la sopravvivenza che l’uomo intrattiene con la natura, con le avversità che gli pone davanti; di come la natura può essere madre benevole o matrigna crudele. Ancora di più in una terra già difficile, ricca di contrasti e asperità come l’Islanda. Benedikt, non a caso questo nome, è un uomo solitario che vive con i suoi due animali domestici, un cane e un montone, e che da ventisette anni, ogni settimana dell’Avvento, si dirige a piedi sulle gelide montagne per recuperare le pecore lasciate indietro dai pastori di ritorno dai pascoli ed evitar così loro una morte orribile di stenti e di freddo. Benedikt è un uomo religioso, che vede e percepisce il divino anche dove generalmente la maggior parte delle persone faticherebbe a intravedere: negli occhi degli animali, nella loro fedeltà all’uomo, nelle forze della natura. Per lui, il suo pellegrinaggio, è un’occasione di riflessione sul significato del vivere, su di sé, sulla direzione intrapresa negli anni, su dove ha iniziato e dove finirà. E’ l’ideale confronto con la sua persona e i suoi limiti fisici e morali, il suo credo. E’ un uomo “benedetto” in tutti i sensi, persino dalle persone che incontra lungo il cammino, un cammino che, se vogliamo, è pieno di simbolismo religioso, così come lo possono essere anche le “pecorelle smarrite”. Ricostruendo e rielaborando a modo suo una storia realmente accaduta, Gunnarsson ci offre un testo dolce e profondo, estremamente metaforico, che scalda il cuore. Da leggere la sera, davanti al camino, in attesa di Natale.

 

 

 

Trama

Il Natale può essere festeggiato in tanti modi, ma Benedikt ne ha uno tutto suo: ogni anno la prima domenica d’Avvento si mette in cammino per portare in salvo le pecore smarrite tra i monti, sfuggite ai raduni autunnali delle greggi. Nessuno osa sfidare il buio e il gelo dell’inverno islandese per accompagnarlo nella rischiosa missione, o meglio nessun uomo, perché Benedikt può sempre contare sull’aiuto dei suoi due amici più fedeli: il cane Leó e il montone Roccia. Comincia così il viaggio dell’inseparabile terzetto, la «santa trinità», come li chiamano in paese, attraverso l’immenso deserto bianco, contro la furia della tormenta che morde le membra e inghiotte i contorni del mondo, cancellando ogni certezza e ogni confine tra la terra e il cielo. È qui che Benedikt si sente al suo posto, tra i monti dove col tempo ha sepolto i suoi sogni insieme alla paura della morte e della vita, nella solitudine che è in realtà «la condizione stessa dell’esistenza», con il compito cui non può sottrarsi e che porta avanti fiducioso, costi quel costi, in un continuo confronto con gli elementi e con se stesso, per riconquistare un senso alla dimensione umana. Nella sua semplicità evocativa, Il pastore d’Islanda è il racconto di un’avventura che diventa parabola universale, un gioiello poetico che si interroga sui valori essenziali dell’uomo, un inno alla comunione tra tutti gli esseri viventi. Esce per la prima volta in Italia un classico della letteratura nordica che ha fatto il giro del mondo e sembra aver ispirato Hemingway per Il vecchio e il mare, considerato in Islanda il vero canto di Natale.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *