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Se Infanzia mi aveva incuriosito regalandomi una protagonista ancora bambina molto particolare e arguta, questo secondo volume autobiografico della trilogia di Copenaghen di Tove Ditlevsen mi ha letteralmente conquistata. In Gioventù (Fazi editore, pp. 168) troviamo, ovviamente, una Tove più matura, sia per età anagrafica che per modo di ragionare e atteggiarsi. È quell’insolito mix tra la spensieratezza e la leggerezza tipica degli adolescenti e la voglia di indipendenza e realizzazione di sé degli adulti. In modo schietto e diretto, che punta al centro delle questioni senza tanti fronzoli ma con una sensibilità davvero unica, la giovane Tove si è scavata un solco nel mio cuore di lettrice e vi ha trovato casa, si è costruita il nido. Quel suo entusiasmo, quella sua brama, quell’ostinazione a non voler rinunciare al suo sogno di scrivere e pubblicare poesie che contraddistingue la sua personalità pagina dopo pagina, anno dopo anno della sua vita mi ha ricordato la passione che io stessa nutro verso i libri e la scrittura. In lei mi sono rivista, ho ritrovato me stessa, quella me stessa che, fin dall’adolescenza e forse anche prima, era certa del fatto che i libri e la scrittura avrebbero fatto sempre parte della mia vita e che sarebbero diventati, come alla fine è stato, il mio lavoro. La stessa cocciutaggine. Con pazienza e dedizione. Tove può insegnare davvero molto sull’amore per un’attività, sulla realizzazione di un sogno a quanti oggi si sentono “dispersi” tra mille impegni e stimoli differenti, tanto che a volte faticano a capire quale direzione prendere, cosa conta davvero per loro. Purtroppo, non per tutti le cose sono chiare, nette e delineate fin dal principio. Per certi versi mi ha fatto tornare alla mente lo scritto di un altro autore nordico, Hamsun Knut, che nel suo libro Fame narra la povertà delle classi meno abbienti della Norvegia alla fine del 1800 e l’insaziabile desiderio di scrivere e di poter vivere di ciò che si scrive (non dimentichiamo infatti che Tove fa parte e descrive la sua realtà, la classe proletaria e operaia). Diversa e più consapevole rispetto al primo volume, benché io sappia perfettamente che entrambi i libri sono stati scritti in età adulta, mi è parsa anche la prosa di Tove: fluida, coinvolgente, in grado di instaurare un vero e proprio legame con il lettore, un’empatia sottile che riesce, forse anche senza volere, a consentire un’analisi psicologica, storica (visto che si entra nel periodo del nazismo e della Seconda guerra mondiale) e familiare della protagonista. Il rapporto con la madre che migliora notevolmente nonostante le sue manie riguardo al matrimonio, ai soldi, al voler mostrare ciò che non è. Più profondo è il legame con il fratello e il padre, all’apparenza indifferente e critico verso Tove, le sue scelte e le sue poesie, ma in fondo orgoglioso e fiero di lei. Una famiglia che, a differenza degli anni precedenti, è cresciuta con Tove e ha trovato una sorta di equilibrio nel modo di rapportarsi dei suoi membri. Sì. Tove, con queste pagine, è diventata una parte di me, indiscutibilmente. Spero solo di non dover attendere molto per leggere il terzo e ultimo volume.

Cinzia Ceriani

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