Leggere il romanzo d’esordio del foggiano Pasquale De Santis, Non ti conosco (Link Edizioni, pp. 373), significa essere afferrati e trascinati nei tormenti dell’animo umano, nelle contraddizioni tra ciò che siamo, ciò che dovremmo essere e ciò che invece, talvolta senza un reale motivo e in maniera del tutto inconscia e assoggettata, diventiamo. Una spirale destinata a rovinare nella criminalità organizzata e nello sviluppo di profondi e pericolosi disagi psicologici che si traducono in patologia e ci allontanano dalla realtà, dal senso critico e dalle più elementari forme di sentimento positivo. E quando il bene e il male che dimorano in ciascuno di noi lottano senza quartiere per la supremazia dell’individuo, interscambiandosi, alternandosi in flussi di coscienza pericolosamente avviluppati, è facile, molto facile, perdere il controllo non solo di se stessi, ma anche di tutto ciò che ci circonda, soprattutto se la scintilla, l’innesco di tutto questo caos parte dall’adolescenza, da un’amicizia tradita e da un sentimento d’amore non corrisposto che si divide la scena con l’appartenenza a una delle più importanti famiglie mafiose del Bel Paese. A guidare la discesa negli inferi di Tommaso, il protagonista del romanzo, è la vendetta, il senso di rifiuto e di abbandono, l’esclusione dal ristrettissimo, quasi elitario, gruppetto di amici su cui si fondava gran parte della sua vita privata e sociale. Un castello in aria che si è dissolto impietosamente. L’autore ha saputo costruire con estrema abilità un intreccio complesso e dinamico, in cui nessun dettaglio viene lasciato al caso o trattato con superficialità, nessun elemento viene banalizzato, neppure quello che io ritengo essere l’aspetto più difficile da trattare, quello psicologico e della malattia mentale. I personaggi sono molto realistici, così come le sono le attività criminose descritte, e ben caratterizzati, è difficile non empatizzare con Tommaso, nonostante tutte le atrocità che compie, o Francesca e Federico, i due amici che probabilmente spinti da egoismo e codardia, ma anche da una buona dose di stupidità e sconsideratezza, contribuiscono alla caduta nel baratro di Tommaso. Ben orchestrata è anche l’indagine poliziesca che contorna le vicende principali e che riserva una bella sorpresa nel finale, tutt’altro che scontato.