Recensione
In molti hanno paragonato la protagonista di questo romanzo a una “nuova Lolita”. Io invece ho incontrato un personaggio complesso e confuso, una ragazzina “figlia” di abusi domestici che vive in maniera distorta la sua sessualità in sboccio e il rapporto con gli uomini. Li tratta come se ora fosse lei a usarli, non più il contrario. Un profondo disagio psicologico, in un’età già difficile, che si traduce in comportamenti devianti e borderline. Di Lolita non ci vedo proprio nulla, è solo un atteggiamento di difesa, attaccare prima di essere attaccata. Con una scrittura lucida, forte ed evocativa, l’autrice ci restituisce personaggi vividi e tormentati, una famiglia ai limiti, un conflitto tra madre e figlia nato sul rancore, sull’accusa silente che la figlia rivolge alla madre per non essersi accorta di ciò che succedeva, e il rimorso e il vago e sottile filo rabbia nei confronti di un’adolescente sfuggita al controllo materno e forse, fra le righe, ritenuta colpevole. Due donne, una adulta e l’altra in divenire, entrambe fragili e distrutte che cercano, a modo loro, di superare il trauma e le sue conseguenze. Una storia terribile raccontata con la delicatezza di una piuma che ondeggia nell’aria prima di toccare terra e l’incisività di un ferro incandescente sulla pelle. La scrittura della Dato si confà in toto al mio stile, adoro il suo modo di narrare e descrivere, coinvolgente e avvolgente, accompagna il lettore in un abisso emotivo caratterizzato da sentimenti forti e contrastanti che costruiscono un’abile dicotomia, aspra e cinica, tra madre e figlia. Un libro breve ma davvero colmo di sensibilità.
Trama
Sensuale come una versione moderna di Lolita, ambiguo come un romanzo di Moravia, La figlia femmina è il duro e sorprendente esordio di Anna Giurickovic Dato.
Ambientato tra Rabat e Roma, il libro racconta una perturbante storia familiare, in cui il rapporto tra Giorgio e sua figlia Maria nasconde un segreto inconfessabile. A narrare tutto in prima persona è però la moglie e madre Silvia, innamorata di Giorgio e incapace di riconoscere la malattia di cui l’uomo soffre. Mentre osserviamo Maria non prendere sonno la notte, rinunciare alla scuola e alle amicizie, rivoltarsi continuamente contro la madre, crescere dentro un’atmosfera di dolore e sospetto, scopriamo man mano la sottile trama psicologica della vicenda e comprendiamo la colpevole incapacità degli adulti di difendere le fragilità e le debolezze dei propri figli. Quando, dopo la morte misteriosa di Giorgio, madre e figlia si trasferiscono a Roma, Silvia si innamora di un altro uomo, Antonio. Il pranzo organizzato dalla donna per far conoscere il nuovo compagno a sua figlia risveglierà antichi drammi. Maria è davvero innocente, è veramente la vittima del rapporto con suo padre? Allora perché prova a sedurre per tutto il pomeriggio Antonio sotto gli occhi annichiliti della madre? E la stessa Silvia era davvero ignara di quello che Giorgio imponeva a sua figlia?
La figlia femmina mette in discussione ogni nostra certezza: le vittime sono al contempo carnefici, gli innocenti sono pure colpevoli. È un romanzo forte, che tiene il lettore incollato alla pagina, proprio in virtù di quell’abilità psicologica che ci rivela un’autrice tanto giovane quanto perfettamente consapevole del suo talento letterario.