Un’amica una volta mi disse che “un Simenon ogni tanto ci vuole”, e aveva ragione. George Simenon è uno di quei pochi autori del ‘900 che sa dare la giusta prospettiva alle cose, che sa indagare in modo all’apparenza semplice e con una certa verve, sottile e a tratti ironica, l’animo umano. Lo sonda, lo squadra, lo sminuzza e poi lo centellina, restituendo un’analisi acuta su pregi e difetti, ipocrisie ed egoismi, fragilità e punti di forza, desideri e bisogni. Il protagonista di Turista da banane (Adelphi, pp. 189) è combattuto proprio fra questi due aspetti. Da un lato, il desiderio di fuggire dalla sua vita, dal suo tormentato passato, da se stesso e dalla società di cui non si percepisce più parte, e per questo si rifugia su un’isola caraibica del Pacifico isolandosi da tutti; dall’altro, però, capisce anche che non può scappare, è impossibile per lui, un europeo, rinnegare le sue origini, le sue abitudini, il suo stile di vita per fare l’eremita in mezzo agli indigeni, il turista da banane del titolo. Ha bisogno della società, ha bisogno degli uomini anche se non vuole, persino per le piccole cose. Ed è con riluttanza e vergogna che accetta quella giustizia assolutamente sommaria, sbrigativa e grottesca inscenata da alcuni esponenti politici suoi connazionali ai danni del comandante navale Lagre, colpevole di aver ucciso per gelosia nei confronti di una prostituta tahitiana un giovane marinaio. Lui sa che la situazione è assurda, e sa che dovrebbe intervenire, ma non ce la fa. Ed ecco allora che il dualismo diventa psicologico: il Donadieu (il protagonista) immobile, statico, che si lascia sopraffare, e che rappresenta un po’ il se stesso da cui vuole scappare, e il Donadieu invisibile, immaginario che, al contrario, si ribella e cerca di mettere fine alla farsa generando però un scontro tra ciò che effettivamente fa e ciò che invece sarebbe giusto fare. In questo breve romanzo Simenon mette tutto il meglio della sua scrittura e delle sue abilità narrative. Ho letto altri libri suoi, e altrettanti ne ho in programma, ma nessuno, finora, mi è piaciuto come questo. L’ambientazione è descritta magistralmente e mi ha ricordato i caraibi che ho visitato anni fa: mi sono rivista lì, fra le stradine acciottolate, i locali affollati e rumorosi e gli abitanti ridanciani. È straordinario il modo di presentare i personaggi, il loro “essere umani” in ogni singolo dettaglio. Simenon è un maestro, questo già lo sappiamo, ma capita, a volte, che il maestro superi il maestro e riesca a creare uno specchio letterario in cui l’intera società, l’intero nostro modo di vivere si riflette, nel bene e nel male, davanti a noi per sussurrarci, sardonicamente, che nonostante tutto la vita va avanti e che fuggire è impossibile.