Parlare di questo romanzo non è facile. Complesse sono le dinamiche famigliari che si riscontrano e che si influenzano a vicenda, comportamenti, decisioni e prese di coscienza che si riflettono sulla vita dei figli, benché adulti. Genitori che si sentono vuoti, privati di qualcosa, senza un reale scopo da perseguire quando il nido resta vuoto, quando anche l’ultimo figlio, il più piccolo e fragile, se ne va per seguire la sua strada e quindi cercano al di fuori del decennale matrimonio un appiglio, un modo, un motivo per far sì che tutto cambi senza realmente cambiare. I personaggi di questa storia si avviluppano, si ripiegano su se stessi. L’autocommiserazione è il sentimento dominante di questo romanzo, figli e nipoti che mal digeriscono il divorzio dei genitori settantenni e che si rendono piano piano conto che il loro matrimonio non era così idilliaco come l’infanzia e la giovinezza gli avevano fatto credere. Tre figli, due femmine e un maschio. Due sorelle insoddisfatte e deluse della loro vita e incapaci però di assumersi le proprie responsabilità, che scaricano sui genitori, colpevoli di voler intraprendere una nuova vita e di aver concesso sempre troppo spazio e troppe attenzioni al fratello minore a causa della sua salute cagionevole, o all’altra sorella, risultando spesso puerili. Due sorelle molto legate ma in perenne conflitto tra loro e con la madre, una donna dal carattere forte e autorevole. Ed è su loro due che si basa anche il costrutto narrativo, l’alternanza dei loro punti di vista, di come interpretano e vivono in maniera diversa la decisione dei genitori e l’intera dinamica dei rapporti famigliari. Unica voce fuori dal coro, e forse anche la più ragionevole e sensata, la meno emotiva e più filosofica che tenta di dare un senso razionale al divorzio tardivo dei genitori, è quella del fratello minore a cui è dedicata l’ultima parte del romanzo. Parola dopo parola, pagina dopo pagina, nel romanzo Una famiglia moderna di Helga Flatland (Fazi, pp. 310) emergono tutte le contraddizioni, le discrepanze e i controversi punti di vista di una famiglia odierna, il dubbio sulla sessualità del fratello, l’apertura a stili di vita amorosa poco convenzionali, il giudizio sociale, le difficoltà di gestione della vita di coppia. Per gran parte del libro il lettore respira, o viene soffocato, da risentimento, invidia, insicurezza, piccole ripicche e malumori che si concretizzano in dettagli narrativi, azioni dei personaggi e dialoghi taglienti. Il divorzio dei genitori rappresenta una frattura all’apparenza insanabile, benché i figli siano tutti adulti e con una vita propria. Gli equilibri vengono dissestati, le poche certezze cadono, come le colonne che sostengono il frontone di un tempio greco, minando la stabilità dell’intera struttura che si sbriciola consumata dai ricordi e dall’impotenza. Liv, la sorella maggiore, è una madre apprensiva, un personaggio ansiogeno e vagamente “paranoiato”, fragile e assolutamente bisognosa di sentirsi apprezzata e ben voluta. Ellen, invece, sembra menefreghista e distaccata, un’attaccabrighe senza peli sulla lingua, ma nasconde in sé un profondo dolore, una profonda mancanza che potrebbe farla implodere. Hakon, invece, il fratello, è forse l’unico personaggio equilibrato, dalle idee chiare, l’unico che è disposto, anche se a fatica, a mettere e mettersi costantemente in discussione. È il più maturo, il più saggio. Ho apprezzato molto la parte a lui dedicata e mi dispiace che il finale, benché riporti la stabilità e la conciliazione in famiglia, risulti un po’ “interrotto”. La penna della Flatland mi piace molto, fresca, profonda, tagliente. Arriva dritta al punto senza mezzi termini, ma sempre con estrema sensibilità ed empatia. Sa osservare e descrivere l’animo umano nella sua molteplice diversità, anche in ambienti ristretti come quello dei rapporti parentali.