Recensione
Ho sempre timore quando devo recensire un classico, e con il mitico Dostoevskij ancora di più. Cosa si può realmente dire di un mostro sacro della letteratura che ancora non è stato detto? A mio parere, recensire un classico non è mai facile, e con alcuni autori diventa addirittura un’impresa. Come posso descrivere in poche righe l’enormità contenuta in questo romanzo e ciò che mi ha trasmesso? Parto con una domanda che mi ha attraversato il cervello diverse volte durante la lettura: in fondo, siamo tutti il principe Miskin? No, purtroppo no. Se lo fossimo, almeno un pochino, il mondo sarebbe di certo un posto migliore. Miskin è un “idiota”, un ingenuo, un puro, un buono che per questo viene considerato, appunto, idiota. “Uno che non ci arriva”, diremmo noi oggi, che si fa prendere per il naso in lungo e in largo. Ma è davvero così? In parte sì, in parte no. In realtà Miskin è ben consapevole di essere usato dagli altri, ma lascia fare per non perdere tempo in inutili scontri, per stare in pace con se stesso. E’ un personaggio generoso, al limite del sacrificio, e accomodante, un cavaliere dalla scintillante armatura per donne che, probabilmente, neanche lo meritano. E’ tutto ciò che Rogozin, il suo antagonista, se vogliamo, vorrebbe essere per Nastasia Filipovna e che invece non è, per questo tenta di ucciderlo. Gelosia. Invidia. Nastasia… ecco, non l’ho mai sopportata, antipatica dalla prima all’ultima pagina, arrogante, viziata, capricciosa e manipolatrice. Il fatto di essere una “donna perduta”, in perenne ricerca del proprio posto nel mondo, giustifica il suo comportamento? No, perché lei non vuole essere salvata, lei vuole rimanere perduta, le piace la sua condizione e ci sguazza ampiamente. Il suo rovescio della medaglia è Aglaja. Altrettanto capricciosa e manipolatrice, ma dalla sua ha l’appartenenza a una famiglia altolocata. E Miskin si trova nel mezzo, fra le due donne, un po’ per suo volere e un po’ per colpa del fato. Dovrei, e potrei, rimanere qui per ore a parlare di questo meraviglioso classico della letteratura russa che subito non è facile da spiegare, né nella trama né in nessuno dei concetti espressi, ma quando poi si inizia ad analizzare personaggi e situazioni si ripempiono pagine e pagine. Belli i riferimenti alla vita personale dell’autore (episodio del plotone d’esecuzione raccontato da Miskin nei primi capitoli) e l’esposizione dell’idea di religione e ateismo, di Russia e di patria e di letteratura. Il capitolo 7 della quarta parte del libro (la mia edizione divide il volume in 4 parti da 10- 11 capitoli ciascuna) è il più importante del romanzo.
Trama
Ne “L’idiota”, per ammissione dello stesso Dostoevskij, c’è tutto quel che nel suo animo premeva. Sulla vita del grande romanziere russo si stanno addensando le ombre del dolore e della tragedia e il suo genio sta formando i panorami più vasti e terribili della sua opera. È al culmine del suo travaglio creativo. Scrive, nella storia delicata e drammatica del principe Myskin, un romanzo che si interroga sul senso della bellezza della natura umana, e sul tentativo di far vincere il bene sul sopruso e sul male. Le doti di finezza e di crudità psicologica, il senso dello smisurato mistero della libertà umana danno vita a una vicenda affascinante e avvincente.