Recensione
E’ tosto. Questo libro è davvero tosto, e lascia il segno. 250 pagine scarse di fanatismo religioso (cattolico) destinato a condurre all’inesorabile abbattimento morale, psicologico e fisico. Considerato una pietra miliare della letteratura americana, il breve ma intenso romanzo affronta una tematica cara agli autori oltreoceano e già trattata, tra gli altri, anche da Steinbeck e Twain: la religione. Qui la O’Connor ci parla del suo lato oscuro, manipolatorio, vessatore e crudele, di tutti quei meccanismi sociali ed emotivi che trasformano la fede in un’ossessione delirante e pericolosa che sfocia, appunto, nella violenza più primitiva e indifferente, quasi come se si trattasse di sopravvivenza. Mors tua, vita mea. E lo fa in maniera diretta, cruda, concisa e spietata, così come ha tratteggiato la personalità di Tarwater, l’adolescente protagonista. Un libro che mi ha lasciato a bocca aperta e che ho consigliato a molti, riesce a entrare nella mente di chi legge senza più abbandonarlo. E’ spietato. Non trovo altri aggettivi più calzanti di questo.
Trama
Francis Marion Tarwater ha quattro anni e vive con lo zio Rayber, maestro elementare cui è stato affidato dopo la morte della madre, quando viene rapito dal prozio Mason, un fanatico religioso che vive come un eremita nei boschi convinto di essere un profeta.
Alla morte di Mason, Francis, ormai quattordicenne, torna a casa di Rayber con una missione da compiere: deve battezzare ad ogni costo suo figlio Bishop, che a detta del prozio è nato ritardato per «grazia divina».
Comincia così una guerra senza esclusione di colpi, nella quale Ryber – ligio ai dettami della ragione e della scienza – cerca in ogni modo di riportare Francis alla ragione e alla normalità, mentre nella mente del ragazzo continuano a risuonare gli insegnamenti di Mason, e il richiamo di una fede tanto brutale quanto potente e liberatoria.