Provate ad immaginare un’Italia e un’Europa, da qui a neppure trent’anni, asettica, costellata da centri cittadini deserti, una popolazione “sparsa” a seguito di un estremo distanziamento sociale attuato dal Covid e completamente scevra, o quasi, dalla criminalità. Niente più serial killer o pluriomicidi, niente più mafia o criminalità organizzata, niente più femminicidi; niente più rapine, furti, aggressioni, scippi. Senza l’immigrazione clandestina che oggi conosciamo e tanto contestata; con l’amministrazione della cosa pubblica privata di ogni sotterfugio, inganno, conflitto d’interesse e dei “furbetti”, sì, insomma, la politica odierna. Sarebbe bello, oppure anche no. Dipende da come questo obiettivo viene raggiunto, dipende da quanto diritto ha la scienza, la medicina di manipolare la nostra vita, di decidere per le persone, di assumere il ruolo di dio e arrogarsi il diritto di stabilire chi può vivere e chi no, o meglio, chi deve nascere e chi no. Dipende da quanto noi siamo disposti a rinunciare alla nostra libertà. Un dilemma morale ed etico antico su cui mai si sono smorzati i dibattiti, oggi più attuali che mai. È questo il nodo cruciale dell’ultima fatica letteraria di Tony Laudadio, Il blu delle rose (pag. 236, NN editore) perché, come l’autore stesso sottintende, eliminare il cattivo dalle persone significa eliminare inevitabilmente anche una parte di buono, non può esistere il bene senza il male. In questa sua veste inedita sfociata in un romanzo distopico, di certo l’autore di Preludio a un bacio (pag. 224, NN Editore), quanto ho adorato quel romanzo, ha preso spunto dalla difficile realtà che in questo 2020 stiamo affrontando cercando di consegnare al lettore una nuova (e probabile?) chiave di lettura del futuro che ci potrebbe aspettare se ci facciamo prendere la mano: dalla medicina, dalla paura, dall’a volte eccessivo bisogno di sicurezza e dal millenario, quanto primordiale desiderio di vita eterna. Numerosi sono gli elementi futuristici “rubati”, per ora, alla fantascienza: auto che si guidano da sole, sistemi domotici che interagiscono con i proprietari di casa e si occupano delle faccende domestiche, le videochiamate evolute in chiamate olografiche. La quotidianità descritta appare molto libera ma, in realtà, ad osservare bene, ogni gesto, ogni azione, ogni movimento dei personaggi è sotto una lente d’ingrandimento. L’unico aspetto a rimanere tutelato, fino ad un certo punto, è la privacy. Sinceramente è un romanzo di cui non so prendere le parti, né in senso negativo né in senso positivo, va letto tra le righe. Offre molto su cui riflettere, nonostante il numero contenuto di pagine, il fatto che si tratta di un libro che si legge davvero in un batter d’occhio e che è contraddistinto dallo stile fluido e vagamente poetico, che a volte pare stridere con la trama fin troppo semplice per essere un distopico, tipico dell’autore. Mi è piaciuto ritrovare lui, l’autore, ma non mi sono ritrovata con la storia da lui narrata, i due elementi mi sono sembrati non del tutto legati. È un buon libro ma, ad essere sincera, continuo a preferire il Tony Laudadio di Preludio a un bacio.