Recensione
Dovevo arrivare a 36 anni per leggere questo piccolo gioiellino di Dickens. Spesso, durante la lettura, mi figuravo i personaggi (e le immagini) del celebre cartone Disney che ogni anno, la sera della vigilia guardo insieme a mio marito, per tradizione, poco prima di aprire i regali. E’ stata un’emozione immergersi fra le sue pagine, nell’atmosfera fredda e fumosa di Londra, riscoprire con Scrooge i valori della famiglia, dello stare insieme e della bontà (non quella di comodo). E’ stata un’iniezione di positività nonostante l’atmosfera cupa e desolante che riveste l’intero racconto, un contrasto necessario alla storia e al suo significato. Ho sbagliato ad attendere così tanto. Questa breve opera è una sorta di luce che trionfa sull’oscurità, il bene sul male, nonostante la povertà e la miseria che caratterizza la prima metà dell’800 inglese, quando progresso e benessere ancora non andavano di pari passo. Suggestive, e a volte ironiche, le figure degli spettri, quasi umani direi, e commovente il cambiamento di Scrooge (anche se un po’ egoistico sotto certi aspetti: non vuole morire solo e disprezzato). Da leggere.
Trama
È questo il primo (1843) e più noto libro sul Natale di Dickens. Straordinario spettacolo metafisico, dove gli spiriti si fanno messaggeri benefici – ma non per questo meno terrorizzanti -, guide sapienti che conducono Scrooge, il vecchio arido e avaro attraverso le età della vita, passata e futura. L’attonito spettatore ripercorre, attraverso la visione, il tempo dell’infanzia, della giovinezza e della maturità, scorgendo, nelle immagini di sé del passato, l’insorgere della durezza e della disumanizzazione; l’ultima tappa, il futuro che lo attende, registra, in un crescendo di orrore, la scoperta di sé morto, corpo depredato delle vesti, privato della dignità, abbandonato e disperatamente solo. Ma lo spirito del Natale e la fiducia nella bontà dell’uomo consentono a Dickens, almeno sulla pagina, di pronunciare un messaggio di speranza.