Home » Festa mobile di Ernest Hemingway

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Recensione

In questo breve romanzo pubblicato postumo, Hemingway ci parla di sé, di come i suoi inizi di scrittore non siano stati semplici, di come ha vissuto centellinando il denaro e della nascita della sua amicizia con F. S. Fitzgerald, a cui deve molto e a cui dedica un intero, lunghissimo capitolo, di come Scott fosse un uomo tanto talentuoso con la penna quanto paranoico e ipocondriaco; di come la moglie, Zelda, fosse per lui una palla al piede. E’ un Hemngway fortemente diverso da quello de Il vecchio e il mare, il suo ultimo e da lui detestato romanzo. Io, personalemente, ho con Ernest un rapporto “instabile”: mi piace, lo adoro (un po’ meno da quando ha girato le spalle a Scott), ma al contempo trovo la sua scrittura pesante e ridondante, che mi porta ad alternarne la lettura con altri libri. Ciò nonostante, resta un autore unico e imprescindibile.

 

 

 

Trama

Il fantasma di Parigi, dove Hemingway soggiornò tra il 1921 e il 1928, accompagnò lo scrittore per tutta la vita, tornandogli prepotentemente alla mente soprattutto a partire dal 1957 quando, ormai malato, si fece urgente il bisogno di dedicare a quella città in cui era stato “molto povero e molto felice” il suo ultimo romanzo, rimasto incompiuto nella stesura finale e pubblicato postumo. Celebrazione della “vita intesa come una fiesta”, ricca ogni giorno di nuove esperienze e nuove illusioni, «Festa mobile» ci racconta di bistrò, marciapiedi, bevute, oppio, corse dei cavalli, campioni di ciclismo con tanto di baffi. Di snobismo letterario e sociale, di una fame che diventa scuola e disciplina, di cose pulite e cose meno pulite. Parigini, americani, e sopra tutto lei, Parigi. È un libro di ricordi, e molto di più: l’opera d’addio che dà l’estrema misura di un attaccamento insuperabile alla giovinezza, all’energia di vivere, agire ed esprimersi come scrittore.

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