Una bambina che scruta il mondo degli adulti senza filtri né restrizioni, senza censure e in modo critico è di certo la fotografia più genuina e unica che si possa trovare sul significato “dell’essere grandi” e i suoi diversi modi, spesso artificiosi e contradditori, di approcciarsi alla quotidianità e alla vita in generale, sia a livello culturale («[…] il libro Il visconte della testa sanguinante […] papà l’ha scovato e mi ha picchiato forte sulla testa, dicendo che un libro del genere è perverso e immorale […] ma a Natale mio padre mi ha regalato le fiabe dei fratelli Grimm e lì c’è decisamente di peggio»), che morale («Si ingurgitano anche le lumache, s’ingozzano di tutto e ai bambini raccontano che alle chiocciole si devono cantare canzoncine e ai coniglietti pasquali si deve voler bene») e sociale («E io che pensavo che i soldati avessero sempre e soltanto voglia di cantare canzoni, assaltare imponenti fortezze e ricevere croci di ferro. Così ci raccontano a scuola, […]. Però è quanto meno sorprendente che nulla sia mai davvero come ce la raccontano a scuola»). È una sorta di saggia, analitica, critica e autocritica piccola peste in gonnella la figura fanciullesca che a distanza di ottantadue anni, grazie all’Orma editore, la controversa, per molti versi, e particolarissima Irmgard Keun ci consegna oggi. Una bambina sveglia, vivace e intelligente a cui piace interpretare il mondo che la circonda in base delle sue regole perché più coerenti (spesso) rispetto a quelle imposte dall’alto, e senza alcuna spiegazione, dagli adulti. E stupisce come una donna di trentun anni sia riuscita, con grande ironia e senso di libertà, a liberarsi dagli schemi convenzionali del ruolo che, per età anagrafica, le competeva e a calarsi in maniera così abile nell’universo infantile, decifrarne i pensieri e i ragionamenti tipici di quell’età che mia nonna definiva bonariamente “della stupidera”. La protagonista di Una bambina da non frequentare (L’Orma editore, pp. 180) è una ragazzina dotata di un’innata autonomia che le consente di avere piena coscienza di sé, dei suoi limiti e delle sue aspirazioni, di ciò che può o non può fare. È uno spirito libero difficile da domare e impossibile da manipolare. È un personaggio incredibile e si fatica a credere che sia stato creato nell’Europa degli anni Trenta. In molte situazioni mi sono ritrovata io stessa, bambina: le corse ai giardinetti con la gang segreta, la convinzione che i bambini si comprino anziché generarli, il bigiare a scuola con giustificazioni fasulle, la rabbia verso quei grandi che se la prendono per un nonnulla e l’idolatria sconfinata, l’innamoramento, il primo, per la celebrità di turno. Chi di noi non ha mai vissuto tutto questo? Leggere questo libro è un tornare al passato, il nostro, quello di ciascuno di noi, uguale ma diverso in ogni epoca, nelle sue caratterizzazioni. Tutti siamo o siamo stati un po’ i bambini e gli adulti che la Keun ci narra in questo romanzo. Nessuno escluso. E qui, a mio parere, risiede la forza di questo romanzo così particolare, forse uno dei più particolari che io abbia mai letto.