Emozionante. È un libro che attendevo da tempo e ora il primo aggettivo che mi viene in mente per descriverlo è proprio questo: emozionante. Flawed – Il momento della scelta di Cecelia Ahern (De Agostini, pp. 380) è un distopico che si sviluppa sulla sottile linea che distingue buon senso da utopia, ovvero il contrario di distopia. Ogni pagina contiene in sé un colpo di scena e ogni capitolo un nuovo interrogativo, una nuova sfida, una nuova destinazione, sia morale che fisica, per la protagonista, Celestine. E per il lettore è praticamente impossibile abbandonarne la lettura. Avevo già amato, ben due anni fa, il primo volume di questa originale e intensa duologia e con questo secondo libro non solo ho confermato le mie precedenti opinioni positive, ma le ho addirittura rafforzate. È, a mio personale parere (sicuramente qualcuno la penserà diversamente da me, ci mancherebbe), il romanzo distopico più bello che ho letto dopo Hunger Games. Con ritmo sostenuto e incalzante, la Ahern ha condotto una narrazione convincente e mai noiosa, in grado di tenere alto il picco di adrenalina, di suspence e curiosità. La scrittura semplice e fluida, poi, ha facilitato la concentrazione e l’immedesimazione del lettore nella storia e nei personaggi. Ho amato il coraggio e l’audacia senza pretese di Celestine, la presenza rassicurante di Carrick, l’iniezione di fiducia e speranza iniettata a Celestine dalla sua famiglia, non solo quella d’origine, ma anche di quella acquisita, dagli amici. Ho provato compassione per Mary May e rammarico per Art. Ai temi classici di questo genere (la sete di potere e controllo, la manipolazione, il tradimento, la disuguaglianza, la rivolta, la violenza, ecc) sono stati affiancati temi importanti come l’uguaglianza dei diritti umani, la libertà non solo fisica delle persone, ma anche morale e di pensiero. Molti sono anche i simbolismi riscontrati: la Gilda, il tribunale morale, che non può non ricordare, per i tempi che furono e che per fortuna sono superati, almeno all’apparenza, la Sacra Inquisizione; la marchiatura a fuoco (anche qui Sacra Inquisizione e fuoco) e le sue relative conseguenze di isolamento sociale che rimanda, in maniera più o meno lampante e più o meno voluta, ad un classico della letteratura americana di metà ‘800, La lettera scarlatta di Nathaniel Hawthorne. E poi il colore rosso, il colore del sangue, ma anche dei traditori dei principi morali (Sacra Inquisizione e il romanzo sopra citato), ma anche della passione (in riferimento alla lotta per la propria dignità e la propria libertà). Il romanzo nasconde in sé molteplici sfaccettature, sia a livello di trama e impianto narrativo che di messaggi per i lettori, a volte palesi e a volte sottintesi, ma entrambi di scrupolosa rilevanza sociale e morale, a cui tutti dovremmo prestare attenzione. Concetti forse scontati al giorno d’oggi, che molti, se i fatti narrati nel libro dovessero, per assurdo, incontrare la realtà, credo che si comporterebbero come i giudici della Gilda: da ipocriti. Realtà e mistificazione letteraria non sempre viaggiano su binari diversi, paralleli ma diversi, spesso i due binari si confondono, diventano uno solo, anche quando ciò che viene raccontato nel libro appare pura fantasia e niente altro. Le persone, i personaggi e i loro comportamenti, i loro atteggiamenti, sono il collante fra i due mondi, anche nel fantastico o nel distopico. E in questo romanzo, forse più che in altri dello stesso genere pubblicati negli ultimi anni, il concetto è ancora più evidente.