Se giocare con i sentimenti altrui porta guai, prendere per il naso cinque distinte signorine della società bene annoiate e isolate nel loro collegio a causa della guerra civile che imperversa nella Virginia della seconda metà dell’Ottocento, oltre che guai porta di sicuro a conseguenze irreparabili. Lo sa bene il caporale Nordista John McBurney, lo “yenkee”, protagonista del romanzo di Thomas Cullinan L’Inganno (De Agostini, pp.480), da cui è stato tratto l’omonimo film con Nicole Kidman, Kirsten Dunst e Colin Farrell ora nei cinema. Un romanzo dalle tinte cupe e vagamente gotiche, e non solo per l’ambientazione bellica, ma anche e soprattutto per la reazione al tradimento, all’umiliazione e al fallimento che sviluppa la mente e la coscienza umana. E’ una lettura avvolgente, se mi consentite queste termine, che scorre lenta e regolare, calibrata e precisa, esattamente come lo stile di vita condotto fra le mura del collegio delle sorelle Farnsworth. Anche nelle situazioni concitate, l’adrenalina e le narrazioni veloci e ritmate sono sostituite da calma, disciplina e lentezza descrittiva, dove gli eventi sono sì raccontati, ma mai nei particolari. Un romanzo corale che narra del lato più oscuro dell’animo umano, sotto pressione e vessato, che emerge a volte consapevolmente altre, invece, prende il sopravvento senza un motivo preciso, solo per sete di rivalsa o per ristabilire un fittizio quanto illusorio equilibrio nei confronti di un fato avverso e imprevedibile, un mezzo per creare una parvenza di controllo sulla propria esistenza. A conferire fascino alla trama, infine, è l’adattamento storico – culturale, quei brevi ma significativi riferimenti sulla guerra di secessione americana affiancati ad alcuni canti popolari in voga in quegli anni e nettamente in contrasto con le opere poetiche anglosassoni e i drammi shakespeariani citati. Leggere questo libro è come sorseggiare una tazza di tè alla vaniglia e lampone. Un aroma dolce e invitante che nasconde in sé un retrogusto aspro.