Recensione
Una suspense che, sinceramente, non mi aspettavo da Zweig. Questo breve romanzo, lo si legge in un paio d’ore, è una tensione continua e perenne, si soffre con Irene, la protagonista. E’ una lenta e spietata tortura psicologica, uno stillicidio dominato dal senso di colpa, dalla codardia, dalla paura, e dal tradimento. Una pena dell’anima che diventa ancora più devastante se ad infliggerla… no, non ve lo dico, dovete leggerlo! Una gemma di raro splendore è questo libro, mi ha stupita davvero. E il finale, come prevedibile, pur non essendolo, lascia l’amaro in bocca.
Trama
Irene Wagner, bella viennese della migliore borghesia e moglie di un noto penalista, sta scendendo rapida le scale di una casa non sua dopo aver fatto visita all’amante, un giovane pianista. Ma lì, su un pianerottolo, il fato la attende sotto le spoglie di una sordida ricattatrice. Quella donna sa tutto di lei. E Irene cede, e paga. Da quel momento comincia l’incubo: le richieste di denaro aumentano vertiginosamente, e lo sguardo indagatore del marito, l’avvocato Wagner, ormai la atterrisce – certo sospetta qualcosa, forse ha subodorato l’inganno. E quello che le ha fatto notare un giorno, come per caso, raccontandole delle sue esperienze professionali, è atrocemente vero: il colpevole soffre più per la paura di essere scoperto, per l’ansia di dover nascondere il delitto, che non per il terrore del castigo – la pena, anzi, è catartica. Che fosse un tacito invito alla confessione? Maestro della suspense, Zweig pedina l’adultera, tormentata dalla ricattatrice non meno che da se stessa e divisa fra angoscia e rimorso; ne mette a nudo la psicologia, ne dipinge gli incubi, ne svela le riflessioni, tra passi falsi, decisioni sempre rinviate e scene isteriche all’amante, da lei ritenuto complice della ricattatrice: sino al coup de théâtre finale – del quale, per una volta, non sarà inopportuno dire che toglie il respiro.