Proviamo a pensare all’inverso. Ad invertire le parti dello stereotipo dell’uomo bianco, in carriera e milionario che, per un fortuito caso, decide di premiare la costanza e l’impegno di un giovane ragazzo di colore, povero in canna e anche un po’ disadattato, che altro non desidera se non realizzarsi e costruirsi una vita dignitosa. Entrambi hanno sofferto le pene dell’inferno ed entrambi vogliono una vita migliore, sotto tutti gli aspetti, e allora Ronnie, l’uomo di successo, concede a Ragazzo l’unica occasione di rivalsa che non aveva mai concesso a nessun altro. Scoprire il suo passato. Uno scoop che lancerà Ragazzo, proprio per la sua unicità, nell’olimpo dei media e in particolare di una delle più importanti riviste statunitensi: Rolling Stone. In un susseguirsi di segreti svelati, una giovane donna da trovare e affari finanziari da adempiere, si srotola l’intricata ed affascinante trama de Il sesto giorno (Fazi editore, pp. 256) della scrittrice napoletana trapiantata a Milano, Rosanna Rubino. Un thriller avvincente in cui un ruolo chiave viene rivestito proprio dalla città d’adozione dell’autrice: Milano. Imponente e a volte snob, addirittura arrogante, Milano è una città senza vie di mezzo, dove o sei dentro o sei fuori, esattamente come certe condizioni di vita, certe opportunità che, come treni ad alta velocità, passano una sola volta. Ma oltre a Milano c’è anche l’Africa, quel continente ricco e meraviglioso che, proprio come il capoluogo lombardo, ma in modi del tutto diversi, non lascia scampo e può far paura. La vicenda si dipana a ritmi diversi, pagina dopo pagina, e soprattutto l’inizio, seppur caratterizzato da capitoli abbastanza brevi, scorre molto lentamente, forse perché la giornata viene raccontata ora per ora, inesorabilmente. Solo verso la fine il ritmo diventa suspense, gli occhi restano incollati alla pagina e il lettore scalpita per saperne di più. L’originalità di questo libro, tuttavia, risiede proprio in ciò che dicevamo all’inizio, nello scambio di ruoli, un particolare che, nell’immaginario collettivo, un po’ disorienta. Si fatica a immaginare subito un giovane africano nei panni di un magnate dell’informatica. Per carità, non fraintendetemi, non voglio togliere niente a nessuno, ma è anche palese che è difficile se non raro, vedere una persona di colore a capo, se non fondatore, di un’azienda multimilionaria. Sicuramente ce ne sono da qualche parte, ma non si può negare che nella nostra idea comune, per il nostro tipo di società, è una realtà più unica che rara. Ed è per questo che consiglio vivamente la lettura di questo romanzo: oltre al giallo, oltre al thriller, è un’occasione per riflettere.Cinzia Ceriani