Inconsueto. È questo il primo aggettivo che mi viene in mente pensando al romanzo di Charlotte Brontë, Shirley (Fazi Editore, pp. 272), un classico ottocentesco poco conosciuto della celebre scrittrice inglese e che rivive ora grazie a Fazi Editore, che ha scelto di riproporlo in una nuova veste grafica.
È un romanzo che ho impiegato un po’ a leggere, volevo prendermi il tempo giusto, con calma, senza risicare minuti qui e là, fra un’attività e l’altra. Volevo assaporarlo, capire e discernere ogni singola pagina, avere il tempo necessario per capirlo bene.
È uno scritto insolito, inconsueto, dicevo, per le tematiche e per i personaggi che molto si discostano dallo schema tipico del suo genere e dagli altri scritti della Brontë, basti paragonarlo al celeberrimo Jane Eyre per accorgersene.
Innanzi tutto la protagonista, Shirley, che fa la sua comparsa poco prima della metà della storia.
A differenza di Jane e di altre eroine della letteratura ottocentesca, Shirley è una donna indipendente, un’ereditiera che non ha nessun interesse ad accasarsi e che assolve a ruoli tipicamente maschili per l’epoca: gestisce i rapporti con i commercianti e gli imprenditori, amministra gli affari economici e burocratici, fornisce la sua opinione, e se è il caso anche un suo apporto concreto, alla disputa e ai conflitti fra imprenditori e operai, ormai sempre più coinvolti in una società e in un contesto lavorativo in continua mutazione, grazie alle nuove tecnologie da un lato e alle guerre napoleoniche dall’altra, che gettano intere famiglie allo sbando e nella miseria, con gli operai costretti a vedere le proprie mani e il proprio sudore sostituiti da delle macchine. Shirley è rispettata anche dagli uomini, che le danno credito e la pongono, quasi, al loro livello. Shirley è una donna che non ha paura delle convenzioni, neppure del clero. Segue il suo istinto, la sua logica, e persegue con determinazione i suoi obiettivi senza perdere di vista la realtà, le persone che la circondano, e senza il supporto “indispensabile” di un marito. Shirley è un’icona del suo tempo, è l’altra faccia della medaglia femminile, è la forza, quella stessa forza che la dolce e timida Caroline possiede ma che nasconde, reprime per adeguarsi alle convenzioni e al volere dello zio, lasciandosi trascinare dagli eventi. Shirley è l’opposto. Shirley è la dimostrazione, per le donne dell’epoca, che si può essere padrone della propria vita. Certo, se si hanno le disponibilità economiche è molto più semplice. Shirley è l’antesignana del moderno femminismo? Non lo so. Un personaggio femminile altrettanto forte l’ho forse riscontrato nella Madeleine di Guy de Maupassant (Bel-Ami), una donna altrettanto caparbia ma che aveva scelto però di “lavorare” dietro le quinte, manipolare e manovrare eventi e persone per far parte di quella parte di mondo, la politica e il giornalismo, precluso alle donne. Madeleine è certamente meno limpida di Shirley, meno palese nel manifestare la propria vitalità.
Shirley è indiscutibile, un romanzo che nella sua semplicità e nella sua posatezza (a volte contraddistinta da un sottile velo ironico) ha molto da dire. Basta solo “ascoltarlo”. Cinzia Ceriani