Sarà capitato anche a voi da piccoli, presumo, di gradire poco alcuni alimenti. Io non tolleravo il miele. Mi faceva venire i brividi, sulla lingua, sulla pelle, sul cuoio capelluto, per il sapore “fastidiosamente” dolce e per l’aroma, a mio giudizio, troppo zuccherino e intenso. Poi, crescendo, l’ho rivalutato, non solo per le eccezionali proprietà nutritive, ma anche per l’aiuto che mi dà al lavoro: la gola di un’insegnante non può che essere grata a questo vero e proprio dono della natura, ottimo antinfiammatorio (il miele di acacia) e utile rimedio anche contro la tosse (il miele di eucalipto). Ho iniziato con curiosità, quindi, la lettura de La custode del miele e delle api (ed. Garzanti, pag. 328), pubblicato a settembre 2015. A dir il vero l’ho affrontato anche con un certo scetticismo, per la fortuna che sta ottenendo e che ho creduto, sbagliando, dovuta solo al bel titolo bucolico e al travolgente successo avuto precedentemente dall’autrice con Il sentiero dei profumi. La storia, già dalle prime pagine, si rivela amabilmente coinvolgente per l’intreccio e, via via, capace di creare una vera e propria dipendenza fisica: impossibile non sentire nostalgia del vento, del mare, dei colori, dei profumi, del calore della Sardegna e, sorprendentemente, del potere soavemente rilassante del volo delle api, nei giorni in cui non mi è stato possibile immergermi nella lettura. La narrazione scorre lenta ma non per questo noiosa; mette in luce a poco a poco i personaggi della storia, i loro legami presenti o passati, prendendosi il giusto tempo per accurate descrizioni degli ambienti, esterni e interni, riuscendo così a fondere insieme atmosfere avvincenti e, allo stesso tempo, poeticamente distensive. La custode in questione è Angelica Senes, sarda dallo spirito inquieto. Il suo orizzonte lavorativo è l’ Europa, dove si sposta per curare apiari grazie alle competenze teoriche e pratiche che possiede, e la sua casa è un camper. A causa della voluta esistenza raminga che conduce, poche persone popolano la sua vita, il rapporto con la madre è sofferto, burrascoso e l’amore risulta assente (anche se, quando da ragazzina viveva ancora sull’isola, il suo cuore batteva, corrisposto, per Nicola Grimaldi, l’unico che le sapesse leggere dentro). Angelica ottiene grandi soddisfazioni e riconoscimenti da un lavoro che ama molto, ma non è felice. Le mancano il mare in cui si tuffava da piccola e la gioia pura e semplice che provava quando era accudita amorevolmente da Margherita Senes, chiamata Jaja, e passeggiava con lei lungo i sentieri, ammirando piante e fiori, assorbendo gli indelebili segreti per avvicinarsi senza paura al delicato e prezioso mondo delle api, cantando. In questo modo ha imparato a essere una custode. La vita le riserva ad un certo punto un’incredibile opportunità, di cui si sente indegna: riavere il suo mondo infantile grazie al lascito testamentario dell’adorata Jaja. Torna così ad Abbadulche (acqua dolce, “un luogo immaginario, ma non irreale”, precisa l’autrice nella nota finale), sostituendo le partenze-fughe in camper con la stabilità di una casa. Le si presentano, tuttavia, varie e inaspettate difficoltà (speculatori nemici del territorio… e il suo stesso cuore, intrappolato nei ricordi dell’amore giovanile), che la custode supererà aggrappandosi proprio alle cose in cui crede fermamente: l’amore per la natura e la bellezza dei doni che Jaja le ha lasciato, il patrimonio di tradizioni legato alle Janas e alle domus de janas che arricchisce la zona, i rapporti di amicizia e di lavoro con le donne del paese costruiti nel frattempo. Un’opera davvero bella, dalla quale traspare il profondo attaccamento per la Sardegna della Caboni che, grazie alla duplice sensibilità di scrittrice e di apicoltrice (si occupa di un’azienda apistica col marito e il maggiore dei tre figli, vicino a Cagliari), mette in luce la ricchezza, la maestosità e alcuni aspetti della storia di una terra e di una popolazione a lei molto care. Una chicca impreziosisce La custode del miele e delle api: ogni capitolo si apre offrendo al lettore alcune righe di presentazione di vari, e per me sconosciuti, tipi di miele. Il tutto è ripreso alla fine del libro nell’ampliato e interessante “Quaderno del miele”. Se lo avessi avuto a disposizione sin da piccola, chissà… magari avrei fatto uno sforzo per gradire maggiormente il nettare degli dei, invece di affidarmi al passare del tempo per giungere ad apprezzarlo.