L’apparenza e la superficialità di coloro che in realtà dovrebbero garantire la sicurezza è spesso l’arma migliore di cui dispongono non solo i criminali incalliti, ma anche chi, in atti criminosi, ci cade perché spinto da qualcosa di più forte e violento, che nasce da dentro le viscere, dal senso di autodifesa e sopravvivenza, disperazione ed esasperazione. Quando una vittima, quell’ideale figura che agli occhi dell’opinione pubblica è una brava persona, un’amabile e pura creatura finita nelle mani di mostri spietati non è, in realtà, la vera vittima, ma soltanto il risultato del suo essere all’opposto, dell’inizio cioè di un subdolo meccanismo di cattiveria, odio e ricatti, l’ordine naturale che si cela dietro la volontà di rendere giustizia e ripristinare l’ordine delle cose viene ribaltato e mantenere le apparenze, omettere e dare alle persone le risposte che vogliono sentirsi dire, diventa l’unico modo per non impazzire, per non arrecare ulteriore danno. E’ un lento e meticoloso gioco ad incastri fatto di alleanze e compromessi, dove non c’è spazio per i ripensamenti e i sensi di colpa; è “come scendere nella tana del Bianconiglio per scoprire che Alice aveva preso il potere con un golpe militare e ora sedeva lì, nel centro dell’universo, aspettando solo che lui varcasse quella porta”. Una citazione, quella riportata qui sopra, estrapolata dall’ultimo romanzo di Chiara Mattioli, Scendi nel buio del mio cuore (Parallelo45, pp. 227, € 12,00), che ben riassume l’atmosfera e l’ambientazione che il lettore si trova a vivere pagina dopo pagina, con uno stile semplice e diretto, privo di esitazioni e ipocrisie linguistiche. Un thriller dai contorni inquietanti non tanto per la storia in sé o le scene descritte, che nulla hanno di impressionate, ma per la tipologia dei personaggi coinvolti. Adolescenti di famiglie rispettabili, gente umile ma onesta, che si vendono al migliore offerente in nome di una marchio o di un pezzo di carta colorata con impresso una cifra il cui unico pregio è quello di dare potere a chi ne possiede in grande quantità. Un romanzo che, seppure con una vena ironica espressa a più riprese da due dei protagonisti, uno scaltro avvocato con la passione per le moto e un avvenente tatuatore con l’attitudine alle relazioni sociali, mette in risalto la fragilità e la fatuità del sistema giudiziario italiano, spesso contraddistinto da valutazioni e indagini approssimative e guidato da individui che mirano all’elevazione del proprio ego più che alla ricerca della verità. Un giallo forse, più che un thriller, che conduce nei recessi più oscuri della mente umana, una mente giovane che ha perso, forse precocemente, la sua innocenza e per questo ancora più instabile, pericolosa, insidiosa e imprevedibile.
Cinzia Ceriani