Non è vero che l’amore risolleva ogni cosa, l’amore può anche distruggere ogni cosa. Non ci sono sfumature, non ci sono eccezioni, non ci sono vie di mezzo. Conduce al paradiso e un attimo dopo ci si ritrova all’inferno. Non è vero che l’amore è la medicina per ogni male, l’amore può essere anche la causa di ogni male, può guarire come può uccidere, può riempirti l’anima e può svuotarla, può dare vita alle azioni peggiori, quelle che neppure l’animale più ferocie farebbe mai ad un suo simile senza un motivo. Azioni dettate da sentimenti e sensazioni che rimescolano dentro. Niente si può per metterle a tacere, niente che non sia il dar loro sfogo e soddisfazione. E’ un amore malato che vive di gelosia, di sindrome da abbandono, di rabbia, di rimpianto, di attimi fuggenti, tanto brevi quanto intensi, che non danno pace, che devono per forza di cose trovare compimento. Ed è ciò che si trovano ad affrontare Angela, Federica, Simona, Elena, Melania, la misteriosa donna del Caffè Degas, Sofia e Sandra, le protagoniste dall’antologia Testimone un cane e altri racconti (Panesi Edizioni, pp. 73, € 2,99) di Bonifacio Vincenzi che, dopo Shakira uno sguardo dal cuore e L’apprendista Babbo Natale, torna a catturare i lettori con il suo stile semplice ma diretto, lineare, pulito e particolarmente tagliente e incisivo in questa sua ultima opera, è quasi telegrafico in alcuni stralci ma senza mai sottrarre enfasi alla narrazione. I suoi sono personaggi intensi, che mettono ben in risalto il fattore psicologico della vicenda che si trovano, per caso o per scelta, a vivere. Sono situazioni comuni che purtroppo, nella realtà, spesso portano ai fatti di cronaca che quotidianamente ci troviamo a leggere sulle prime pagine dei giornali: uxoricidi, suicidi, violenze, sofferenze dell’anima che annientano il raziocino e si riversano sull’istinto, sul corpo. Ferite tanto profonde, generate da sciocchi egoismi superficiali, che rendono impossibile stabilire l’origine della frattura, colpe, responsabilità e soluzioni alternative alla violenza gratuita e al dolore personale. A rimetterci, però, non è sempre e solo il cattivo di turno. A rimetterci è chi, indipendentemente dal suo comportamento e dalla sua personale storia, non è in grado di amare la persona che gli sta accanto oltre se stesso; è colui o colei che non è in grado di vedere al di là del proprio naso e che si impantana su una visione unilaterale e profondamente egocentrica e possessiva dei sentimenti, preoccupato soltanto di sé, del proprio orgoglio e delle proprie necessità.
Cinzia Ceriani